LE NOSTRE INCHIESTE/ Capalbio, addio radical chic. Siete da Ultima spiaggia

Capalbio vuol riprendersi radici e iniziative. Basta immagine del buon retiro della sinistra

Il centro di Capalbio(Foto archivio)

Il centro di Capalbio(Foto archivio)

Capalbio (Grosseto), 30 agosto 2019 - RADICAL CHI? A Capalbio la “c” finale dello chic radical è caduta, forse per sempre, insieme all’impero dell’intellighenzia, ormai al tramonto. Ora lo chic è diventato scicchissimo, al modo di Capri, Porto Cervo e Saint Tropez. O quasi. Quasi perché qui, nella Maremma sauvage, il gap c’è e resterà incolmabile: mancano il porto, un lungomare, le grandi firme nei negozi con i vetri lustri e anche il mare. Come il mare? Niente ostriche e aragoste a tavola, per intendersi, ma cinghiale, salsicce e misticanza. Dello scenario fa un affresco esatto nel suo libro di qualche anno fa (L’era del cinghiale rosso) Giovanna Nuvoletti, fotografa e scrittrice, ribelle figlia di Giovanni il “conte”, maestro d’eleganza di Gianni Agnelli del quale sposò, in seconde nozze, la sorella Clara. In due parole, Capalbio è la campagna dei supervip: il mare è un accessorio, anche bellissimo, ma poco comodo da raggiungere in macchina, off limits per barche o peggio yacht. Lei, Giovanna, sposata a Claudio Petruccioli, l’ex colonnello comunista, a lungo alla guida dell’ammiraglia Rai, con lui ha scoperto questo posto nei primi anni Ottanta: «Ci fermammo qui, era bello e le case costavano poco proprio perché non c’era il mare». Poi anche lei è diventata capalbiote doc, come ama raccontare, una dei quattromila e spiccioli residenti. Clientela noblesse da una parte, dall’altra gli intellettuali: Giovanna Nuvoletti ha sempre tenuto a marcare la distanza, a costo di rovesciare una zuppiera di spaghetti in testa a chi, improvvidamente o per lusinga, durante una cena la chiamò contessa Agnelli.

ERANO gli anni Ottanta ruggenti di Philippe Daverio, dei baci focosi sulla spiaggia di Achille Occhetto e Aureliana Alberici, delle battaglie con le bucce di cocomero tra Giacomo Marramao e gli amici filosofi che scodellavano in tavola panzanella e sorti del mondo. Altri tempi. In ordine sparso c’erano Alberto Asor Rosa, il primo ad aizzare la rivolta contro l’autostrada Tirrenica, poi Rasy, Missiroli, Castellina, Maffettone, Bassanini, Colombo, Rutelli, Napolitano, Martelli, e via così. Oggi quel sinistrismo eccentrico un po’ di maniera ma anche vivace e contaminante è praticamente estinto. La mutazione genetica della ribattezzata piccola Atene dell’italica gauche è quasi completa e visibile a chi non ha occhi bendati. I pochi resistenti, rappresentanti del mondo e del modo che fu, si sono ritirati a vita privata, nella “riserva indiana” delle loro belle case nel verde, piene di libri e caftani bianchi. E di ricordi. «Ormai noi della prima ora siamo diventati tutti anziani, ci incontriamo nelle nostre case normali e, come intellettuali, ci accontentiamo di frequentare persone che non scrivano scuola con la ‘q’ e non inseguano i neri lungo la battigia per picchiarli», dice, a testimonianza del passaggio d’epoca, Nuvoletti. Ma chi sono i conquistatori che plasmano la nuova Capalbio? I ricchi, anzi ricchissimi. I nobili, anzi nobilissimi. «Nobiltà papalina nera, manager, banchieri, finanzieri, ma anche artisti, attori e pierre», dice il visconte Guglielmotti. Insomma, il bel mondo romano, milanese, fiorentino. L’approdo degli eredi dei padri fondatori che avevano scoperto e amato quella Maremma selvaggia senza però viverla con la mondanità di adesso e senza colonizzarla di amici, figli, conoscenti e generici prossimi che almeno valgano l’invito a una festa da mille e una notte. Era tutta un’altra cosa. E se vent’anni fa i re dei paparazzi si appostavano all’Ultima spiaggia, lo stabilimento vip del Chiarone, per fotografare i tomi sotto l’ombrellone del big della politica di turno, oggi al country club “La Macchia”, a Macchiatonda, il mare di Capalbio, nei fine settimana gli ospiti arrivano in limousine, il minimo per chi può versare una quota d’accesso da 10mila euro alla società Terre di Sacra che qui è praticamente proprietaria di tutto dal 1922, quando un gruppo di amici (tra i quali gli imprenditori più illuminati del tempo, Ambrogio Puri, Pietro Pirelli, Uberto Resta Pallavicino), con lo scopo di «Redimere la terra per produrre nuove risorse», rilevò la proprietà che si estendeva dal castello di Capalbio al mare. E di quel territorio, all’epoca inospitale e paludoso, ne fece prima una miniera agricola e di lavoro e poi un paradiso naturalistico. E’ nata qui la prima oasi italiana del Wwf, al lago di Burano che contende a Massaciuccoli il cuore di Giacomo Puccini.

LA SOCIETÀ anonima Capalbio redenta agricola (Sacra) fu il principio. Poi venne l’editore e principe Carlo Caracciolo a inventarsi la prima mutazione di Capalbio negli anni Sessanta con la successiva geniale intuizione – e un mecenatismo d’altri tempi – di consacrare all’arte di Niki de Saint Phalle una fetta delle sue proprietà terriere trasformandole nel Giardino dei Tarocchi, un parco artistico esoterico che domina la collina di Garavicchio. Era stata la sorella Marella Agnelli a conoscere l’artista in montagna, a Saint Moritz, e a raccomandarla a Carlo. Ora tra i nuovi proprietari di casali ristrutturati ispirandosi a un lusso garbato, oltre alle seconde e terze generazioni di Caracciolo, Borghese, Odescalchi, Pietromarchi, de Saint-Just, Puri Negri, Ruffo di Calabria, ci sono il supermanager Carlo Clavarino, l’imprenditore del lusso Lorenzo Bassetti, i banchieri Fabio Gallia e Ignazio Carrassi del Villar, l’architetto Guelfo di Carpegna, la presentatrice televisiva Barbara D’Urso, il figlio della diva Audrey Hepburn Luca Dotti, il conte Gelasio Gaetani Dell’Aquila D’Aragona Lovatelli. La lista non si esaurisce qui. Come alla Macchia, tra i soci fondatori del club ci sono i nomi di Isabella Borromeo Brachetti Peretti, Jacaranda Caracciolo Falck, Matteo Marzotto, Paolo Scaroni, Alberica Brivio Sforza, Patrizia Memmo Ruspoli per non far l’elenco troppo lungo. E, insomma, sono ormai da archiviare le gag del film Come un gatto in tangenziale da sovrapporre ai fotogrammi della Grande bellezza, una trasformazione nei modi e nei costumi. «Il tessuto culturale è completamente cambiato, non c’è più il Pd, alle Europee la Lega ha incassato oltre il 50% e i capalbiesi hanno scelto di farsi guidare da una lista civica», dice Guglielmotti. L’obiettivo, quasi rivoluzionario, del nuovo sindaco, l’ex Pd Settimio Bianciardi, affrancare il paese dallo strapotere romano, rilanciare il turismo e il lavoro. «Gli abitanti negli anni hanno votato di tutto, dal Pci alla Dc, liste civiche varie di centrodestra, Pd e adesso sono tutti leghisti», dice Nuvoletti.

EPPURE le notti magiche fanno scalpore. «Ogni fine settimana ci sono due o tre feste da quattrocento persone dove scorrono fiumi di champagne», racconta il visconte. «La gente normale? A Capalbio viene, poi scappa» aggiunge. «Scusi dove devo andare per il lungomare?», da un’auto che accosta a Capalbio scalo spunta la testa bionda di una ragazza milanese frastornata dalla disgraziata notizia ricevuta, che un lungomare qui non c’è. La scena si ripete con regolarità svizzera. Ma tra chi arriva e poi riparte a razzo, c’è anche chi s’innamora e Capalbio non la lascia più. Per via di quella natura ribelle che si annoda all’anima. Si vedono segnali di vita nuova: l’edicola si è trasformata in bar e ristoro dove a colazione s’incontrano il segretario Pd Nicola Zingaretti e Carlo Calenda. Perché a Capalbio è vero quel che è vero, cioè tutto e il suo contrario.