MATTEO ALFIERI
Cronaca

Alteo e gli internati militari Una ricerca su chi disse no

Luciano Fedeli ha ritrovato diari, lettere e documenti sul padre che era ‘Imi’ e, nella Giornata della Memoria, annuncia che la storia presto diventerà un libro

di Matteo Alfieri

C’è un’altra Resistenza forse meno conosciuta ma vissuta e rivalutata nel corso degli anni: quella degli "Internati Militari Italiani" nei lager nazisti. Gli "Imi" hanno scritto una pagina fondamentale durante la seconda Guerra Mondiale e sono stati una grande testimonianza di coraggio e onestà pagata a carissimo prezzo, con lacrime e sangue. Dopo l’8 settembre 1943, i reparti tedeschi disarmarono e catturarono centinaia di migliaia di militari italiani, nel Nord Italia ma anche in Grecia, Albania, Jugoslavia e sugli altri fronti, avviandoli alla prigionia in Germania. Si salvarono dalla deportazione i pochissimi che accettarono di collaborare con i nazisti, mentre decine di migliaia caddero nella "prima resistenza", rifiutandosi di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e di combattere al fianco dei tedeschi. Fino alla loro liberazione questi uomini vissero in condizioni di vita terribili, resistendo al freddo, alla fame e al terrore, ribadendo però il loro "no" e furono circa 650.000 a rifiutarsi di combattere e furono fatti prigionieri. "Anche nostro padre Alteo fu tra quelli – raccontano i figli Luciano e Marcello, Fedeli, residenti a Massa Marittima – e pagò questa cosa a caro prezzo. Fu portato nei lager della Sassonia, in tre per la precisione e costretto, con altri, ai lavori forzati in condizioni disumane. In Germania ebbe un ascesso alla gola, poi la malaria. Dimesso da quest’ultima malattia venne rimesso subito a lavorare percorrendo, per arrivare al luogo di lavoro, quasi 10 chilometri al giorno. E fu lì che cadde e venne ferito con un colpo di baionetta sopra al ginocchio da un militare tedesco. Se non fosse stato per i suoi compagni di viaggio che lo riportarono al campo, prendendosene cura, non sarebbe tornato a casa". Proprio quella solidarietà in particolare di un certo Severino Acerbi di Pistoia, che si prese cura di lui, lo salvò da una situazione drammatica. "Pesava infatti meno di 45 chili e le sue condizioni erano critiche, per questo si trovava nello Stalag IV F, una sorta di lazzaretto dove in molti andavano a morire – raccontano ancora i figli – ma i suoi compagni e in particolare Severino andavano a recuperare tra gli avanzi dei tedeschi, ovvero pezzi di carne, bucce di patata o altri alimenti gettati tra i rifiuti che venivano riciclati per arricchire gli scarni pasti passati nel campo". Tornato a casa ha scritto la sua esperienza tenendola nascosta per anni e confidandola solo ai nipoti, gli unici con i quali si aprì completamente e che lo portarono a scuola come testimonianza per gli altri studenti. "Ho ritrovato una parte dei suoi diari – ha proseguito Luciano Fedeli – e li sto rimettendo in ordine insieme alle lettere e al foglio matricolare e a documenti recuperati a Firenze e Grosseto per scrivere una storia che, insieme a quella di molti altri, è esempio da non dimenticare, da diffondere perché non si ripeta. Con un gruppo di amici abbiamo intenzione di aprire un capitolo per ricostruire la storia di altri Imi massetani. Contatteremo i parenti dei numerosi massetani che dissero no, collaborando con l’associazione degli internati italiani con i quali abbiamo avviato i primi contatti, per completare quel quadro della Resistenza non privandolo di nessun contributo".