Vincere o soffrire Italiano, l’equilibrista

Come nella canzone di De Gregori, anche lui cammina sui pezzi di vetro. Niente a che vedere col circo, né acrobata né mangiatore di fuoco, piuttosto un equilibrista del calcio che, per restare in piedi sul filo, ha bisogno di un’asta chiamata vittoria. Vincere per convincere. Vincere per spegnere lo scetticismo che brucia anche sopra la cenere. Vincere per tacitare chi ancora lo considera un inesperto, un eccessivo, uno che non sa leggere le partite e correggerle. Chi lo considera insomma fondamentalmente un bluff. Sì, Vincenzo Italiano è un allenatore equilibrista in perenne stallo fra l’estasi e la gogna. Fra l’apoteosi e l’invettiva. Un allenatore costretto a usare le vittorie come aspirina per sedare i mal di pancia di parte della tifoseria che, come lui stesso ha ammesso, non lo ama particolarmente. Sarà così anche domani sera col Basilea, in una gara difficilissima e piena di insidie, che però lui sa non poter sbagliare.

Perché forse con un altro carattere, o con un altro pedigree alle spalle, l’aver raggiunto una finale di coppa Italia e una semifinale europea, gli sarebbe valso comunque l’applauso e la conferma della piazza. Invece, non sarà così. Dovesse andare male in Svizzera, anche lui sa che i pubblici ministeri che si alzeranno a invocare la ghigliottina saranno tanti, forse troppi. Comunque ingenerosamente. Perché da un punto di vista caratteriale probabilmente Italiano ha ancora spigolosità da levigare: il suo essere ombroso e intransigente, il non vivere mai la critica con leggerezza, chiudendosi in una permalosità che non giova. Nelle pieghe della mano ha la sua linea che gira e non è disposto a fare niente per cambiarne il destino, direbbe il cantautore. Ma da un punto di vista calcistico, il tecnico siculo-tedesco non è certo una zavorra per la Fiorentina, figurarsi. Piuttosto è un vento buono. Quando vedi giocare la squadra viola hai come l’impressione che tutto sia stato programmato. Che ogni passaggio, ogni ripartenza, ogni inserimento dalle fasce sia stato provato e riprovato in allenamento con metodicità intransigente. Un calcio didattico che mette al bando l’improvvisazione.

Per questo è verosimile che proprio il suo football eccessivo e avvolgente, il suo far inchinare sportivamente l’Io al Noi, abbia fatto lievitare il talento della rosa anestetizzandone le debolezze e consentendo alla Fiorentina di raggiungere i traguardi certo non banali di oggi. Ma nel calcio ciò non è bastevole, perché il calcio (come la vita) è anche altro. Il calcio è sentimento ed empatia. Il calcio è passione e purgatorio, salotto e inferno, tormento e paradiso. Per questo lui sa bene che per evitare di regredire dal giudizio al pregiudizio non può fare a meno dell’anestetico della vittoria. Vincere dunque per stoppare la prevenzione. Vincere per suturare il preconcetto. Una sfida e allo stesso tempo una condanna per Vincenzo Italiano, l’allenatore che cammina sui pezzi di vetro. L’uomo con il cuore di ramo duro che, anche a Basilea, proverà a giocare la sua ultima carta, il suo prezioso e rinnovato tentativo di stupire, per guadagnarsi il diritto di restare in equilibrio sul filo. Sembra quasi che Francesco De Gregori la sua canzone l’abbia scritta per lui.

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