
Manuel Rui Costa (foto Germogli)
Firenze, 5 maggio 2016 - I GRADONI della Maratona scottano, le fronti sono fradicie di sudore. Poco importa, d’altronde è il 13 luglio del 2001 e com’è fatta Firenze d’estate si sa. Diciamo piuttosto che su quegli spalti ci sono diecimila tifosi con gli occhi gonfi che si spellano le mani applaudendo un ragazzo in campo. Quel giorno però non si gioca a pallone al Franchi: sul prato c’è solo un giovane con la sciarpa viola al collo e un popolo che lo saluta. Se ne va dopo sette anni Manuel Rui Costa, solo “Rui” per tutti. Se ne va a Milano, sponda rossonera, e non può essere altrimenti. Qui è finito un ciclo, la Fiorentina è allo scatafascio e a Cecchi Gori servono soldi freschi.
BATISTUTA per dire, l’altro amore folle di quegli anni, è finito alla Roma e ha perfino uno scudetto già cucito sul petto. A Firenze invece non è più tempo nemmeno di sognare. E allora se ne va anche Rui, il fenomeno timido dal tocco felpato che Dio solo sa quante volte ha mandato in porta Batigol. Si dirà: per un giocatore di 29 anni San Siro è la consacrazione, la porta spalancata sul futuro che luccica. Eppure quel ragazzo, in mezzo al prato del Franchi, piange come un bambino. Rui, il portoghese gentile dai piedi fatati e l’intelligenza limpida, ha ora quello stesso sguardo stralunato, da gringo dolce che si stupisce di tutto, del giorno in cuì sbarcò giovanissimo a Firenze.
Era il 1994 quando la Fiorentina, appena tornata in serie A e con la voglia matta di spaccare il mondo, lo prelevò dal Benfica pagando undici miliardi di lire. Il calcio stava per cambiare, era già sulla soglia di una nuova epoca, ma non era ancora il momento di stravolgere tutto: cuffie alle orecchie, tatuaggi e bronci da star sarebbero arrivati più tardi. C’era ancora tempo, in quell’estate del ‘94, per un ciuffo strampalato, una barba imperfetta e una camicia di qualche taglia più grande. Con Rui fu amore a prima vista. Firenze, a cui basta uno sguardo per farti la radiografia, sentì che quel ragazzo aveva un cuore grande, oltre a un talento innato. E Manuel intuì subito che in quella città, anche se forse più rigorosa della sua morbida Lisbona, c’era gente più simile a lui di quanto pensasse. Allora forse lo immaginò soltanto, ma certo lo capì il 18 maggio di due anni dopo, quando di ritorno da Bergamo con la Coppa Italia in mano, sbucò sul prato del Franchi con Batistuta e gli altri e alle due di notte spalancò gli occhi su trentamila bandiere viola in festa dopo una vita di bastonate. Rui non ebbe più dubbi: quel popolo aveva il cuore che batteva a un ritmo diverso dal resto del mondo. Rui Costa e la Fiorentina, sette anni di emozioni.