Campriani vince ancora: premiato il documentario sul suo progetto con i rifugiati

"Taking Refuge" a Sport Movies e Tv. L'ex campione olimpico fiorentino allena per i Giochi di Tokyo tre rifugiati nella specialità della carabina

Campriani con i tre rifugiati che allena (da OlympicChannel)

Campriani con i tre rifugiati che allena (da OlympicChannel)

Firenze, 9 dicembre - Nel 2017 ha annunciato il ritiro dall'attività agonistica, ma Niccolò Campriani continua a vincere: non più con la carabina, ma con un progetto tra sport e solidarietà: portare alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (nel frattempo diventata Tokyo 2021 per le note vicende della pandemia), nella specialità del tiro a segno, tre rifugiati. Infatti, la serie tv "Taking Refuge" ( di Vanessa Hudson per Olympic Channel – Spagna), che racconta questa singolare sfida del campione fiorentino, ha vinto il premio della critica "Bruno Beneck" al festival internazionale Sport Movies & Tv di Milano (presieduto da Franco Ascani) che, eccezionalmente, si è svolto online a causa della pandemia. Un racconto appassionante che ripercorre il percorso del progetto di Campriani che di Olimpiadi se ne intende, avendo vinto tre ori e un argento. In più, oggi lavora a Losanna per il Comitato olimpico internazionale.

Campriani, come nasce questo progetto?

"Ho cercato di dare un messaggio di inclusione e al al tempo stesso quando ero uscito dal mio sport c'era quasi un senso di incompletezza, non c'era la chiusura netta è stato quasi uno choc. Ho unito due sentimenti forti che avevo, cercare di fare pace con il mio sport e contribuire a un'iniziativa molto importante oggi. Credo che lo sport si presti molto a sostenere l'integrazione".

Come ha scelto le persone da inserire nel progetto?

"Cercavo persone che da una parte fossero appassionate a questo tipo di progetto e che parlassero un po' di inglese. Ho lavorato con l'ufficio immigrazione del Cantone Vaud, abbiamo fatto un giorno di selezione abbiamo scelto un ragazzo e due ragazze, anche se il budget del  progetto era per due persone. Allora, ho  richiesto la mia carabina al museo olimpico".

 Come ha coperto le spese? 

"Il budget è tutto basato su donazioni, ho telefonato a sponsor, colleghi di vari Paesi".

La scelta è caduta sul'afgano  Mahdi, la siriana Khaoula e l’africana Luna. Avevano già esperienza di tiro?

"No, nessuno di loro"

Una sfida audace, quindi

"Hanno fatto le prime gare internazionali autunno 2019, hanno gareggiato ai campionati italiani (ovviamente fuori classifica) e hanno raggiunto il loro minimo di qualificazione olimpica. Non vuol dire che siano qualificati di diritto e che faranno parte dell'Olympic Refugee Team è il Cio che deve decidere. Se questa possibilità arrivasse anche solo per uno di loro sarebbe bello".

Cosa le dà questa esperienza?

 "E' un modo bellissimo per giustificare 16 anni di carriera, vedere l'impatto che hai sulla vita di qualcun altro. I ragazzi sono cambiati, evoluti, è un piacere vederli crescere così rapidamente in così poco tempo. Un bel modo per chiudere un ciclo e ricordarmi quello che era il tiro nei primi anni rivivere le prime gare attraverso i loro occhi, è un modo fantastico per continuare la carriera".  

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