
Lo sguardo fiero e gli occhi intensi che raccontano tanto. Un inglese parlato come se fosse la sua prima lingua (sull’italiano ci stiamo lavorando per essere impeccabile, perché è un perfezionista), anche se il fiammingo gli è più familiare insieme all’arabo. Non per niente Sofyan Amrabat è nato in Olanda e la sua doppia nazionalità gli permette anche di rispondere alle convocazioni della selezione del Marocco. Il ragazzo di Huizen – municipalità di 40mila abitanti nel settentrione dei Paesi Bassi – è il prototipo del calciatore universale che ha fame di arrivare e che non si accontenta mai, con il dogma del lavoro duro. Lavoro, già. Una parola che ricorre spesso durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo centrocampista di Iachini. Centrocampista che lavora con i muscoli e con la testa, ma che ragiona con il cuore, soprattutto in questa occasione: "E’ un grande onore essere qui e sono felice. Dalla prima volta che ho parlato con in dirigenti ho subito avuto un’ottima impressione, ascolto molto i miei sentimenti e scelgo con il cuore". Appunto. Perché la Fiorentina è qualcosa che c’entra tantissimo con i sentimenti. Per conferma Amrabat lo avrà chiesto sicuramente a quel signore che era seduto accanto a lui durante la presentazione e che Joe Barone ha indicato come esempio, con l’aiuto di Wikipedia, ad Abigail Kim, la nuova giocatrice della squadra femminile, appena sbarcata dagli Stati Uniti e al ’Bozzi’ per seguire la sua nuova squadra. Un distinto signore adesso, ma che rappresenta l’essenza dei sentimenti: Giancarlo Antognoni.
"Da subito ho avuto buonissime sensazione – ha proseguito –, mi hanno spiegato a cosa ambisse questa società, ho parlato con cinque club italiani, ma la Fiorentina mi dava sensazioni speciali. Tra questi 5 non è il club più grande, ma mi piacciono molto le ambizioni che ha e per questo l’ho scelta". E per avere conferme che Amrabat è un ragazzo sensibile basta chiedergli che maglia ha deciso di indossare: la 34. Nessuna cifra che ricordi le star assolute del pallone o di un idolo di gioventù, un modello a cui ispirarsi. Niente da fare. Resta tutto sempre ricondotto a una faccenda di cuore: "E’ quello che aveva Nouri, un ragazzo che conosco". E il 34 sarà il suo numero fino alla fine della carriera in onore di Andelhak Nouri, lo sfortunatissimo giovane dell’Accademia dell’Ajax che a seguito di un malore accusato in campo durante un’amichevole tra i Lancieri e il Werder Brema nel 2017 ha riportato danni cerebrali permanenti (si è svegliato dal coma solo di recente). Non scambiatelo però per un debole, uno dalla lacrima facile. Potreste commettere lo sbaglio più marchiano della vostra vita.
E il calcio giocato? Una missione dedicata al successo prima di tutto della squadra, poi personale: "Gioco a tutto campo, ma sopratutto dove hanno bisogno il mister e la squadra. Qui mi concentrerò sulla posizione di regista, penso che sarà il ruolo che ricoprirò. Voglio imparare a fare tutto, anche segnare di più, ma non è la cosa più importante, lo è aiutare la squadra a vincere". Come la ricetta dell’Hellas Verona targata Juric. Nessun segreto particolare per l’annata straordinaria dei gialloblù ’sconosciuti’ anche ai soloni del Fantacalcio: "Il segreto è semplice: lavorare duro sempre. Juric è un allenatore che punta sulla condizione fisica, stavamo molto bene e lo vedevamo anche in campo: eravamo freschi quando gli altri si stancavano". Ora il mondo viola ("mi hanno accolto benissimo") e dei nuovi compagni. Anche qui considerazioni spontanee, senza calcoli. Ribery fenomeno, "ma se devo dirne uno dico Agudelo (anche se andrà via, ndr), anche se ce ne sono tanti con ottime qualità".