"Uno sparo e babbo morì". Era sull’aia disarmato. Fu ucciso senza pietà

Dino Bini, novantadue anni, ricorda il tragico giorno in cui suo padre Gino fu ucciso da un soldato tedesco nel 1944 a San Gaudenzio. La famiglia aiutava i partigiani durante la guerra, nascondendo cibo e animali. Oggi Dino vive ancora nella casa di famiglia, di fronte al cimitero dove riposa suo padre.

Dino Bini oggi ha novantadue anni e vive in località San Gaudenzio un piccolo agglomerato di case coloniche. In quel luogo il 24 luglio 1944 suo babbo Gino Bini di trentotto anni fu ucciso sull’aia da un soldato tedesco nascosto nel bosco. Ieri il figlio ci ha aperto quella casa e oltre a raccontarci di quel tragico giorno, ci mostra l’unica foto del babbo.

Dino, cosa ricorda di quel giorno ?

"Il babbo era uscito da casa intorno alle 9, perché aveva sentito dei rumori provenire dal bosco, arrivato sull’aia fu colpito da un proiettile. Sentito il colpo, mio nonno e mio zio lo raggiunsero e lo portarono in casa".

Quanti eravate in famiglia?

"Diciotto, lavoravamo venti ettari di terra. Eravamo nascosti nelle cantine a Travignole, uscimmo dal rifugio e raggiungemmo casa. Quando vidi il babbo non parlava più, di lì a poco spirò. Non finì lì perché dopo poco arrivarono dei tedeschi, forse tra questi c’era anche quello che gli aveva sparato. Constatata la morte, ordinarono di portarlo nella vicina chiesa di San Gaudenzio.

Suo babbo era un partigiano?

"No, la mia famiglia contribuì però ad aiutare i partigiani, io avevo 12 anni, i miei avevano dato ospitalità a Giorgio Castelnuovo, ricercato dalla polizia perché ebreo e appartenente al Partito d’Azione. Ogni tanto i miei mi davano un sacchetto e mi dicevano di portarlo nel rifugio dove si nascondeva Giorgio, all’interno vi era del cibo. Facendo un passo indietro un giorno arrivarono dei tedeschi che vollero libera la stanza del forno. Sapevamo che avevano minato il ponte in via di Campòli, erano due ragazzi giovani. Prima di loro erano passati altri tedeschi in cerca di cibo, una volta ci minacciarono puntandoci le mitragliatrici, volevano i polli, ma dal momento che s’insediarono gli altri due tedeschi, non tornarono più".

Vi minacciavano?

"No, non ci hanno mai dato fastidio, ci chiesero se avevamo delle mucche, gli dicemmo di no, ma in realtà erano state nascoste nel bosco, così un giorno arrivarono con un paio di bovi, una mucca, un cavallo e delle pecore".

Le avevano rubate ad altri contadini?

"Mio zio disse che i bovi erano della fattoria dell’Antinori, invece il cavallo era di un certo Casprini di Greve. Prima di andarsene ci aiutarono perfino a battere il grano e a nasconderlo".

Dove?

"In delle stanze in disuso, tirammo su un muro invecchiandolo con lo sterco dei conigli per farlo sembrare un muro vecchio".

Quando se ne andarono?

"Una notte poco prima dell’arrivo dei Neozelandesi. La guerra stava per finire, i carri armati erano a pochi chilometri, invece la mattina del 24 luglio ’44 il babbo fu ucciso".

Oggi Gino Bini riposa nel piccolo cimitero di San Gaudenzio, di fronte alla casa dove ancora oggi vive il figlio Dino.

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