FRANCESCO
Cronaca

Una riflessione su sculture e affreschi

Francesco

Gurrieri

Della conservazione del vastissimo patrimonio artistico del nostro territorio conosciamo la dedizione dei curatori. Tuttavia, non possiamo esimerci da ricordare tre opere che meriterebbero maggior attenzione. La prima: il grande affresco di Renzo Grazzini, “La ricostruzione del centro di Firenze dopo le distruzioni della guerra” realizzato fra il 1951 e il ‘54 nell’allora Borsa Merci in Por Santa Maria: si tratta di un’opera di ben 112 metri quadrati, che costituisce una delle sue pitture di maggior respiro; un taglio realistico e didascalico, eseguito secondo lo spirito del tempo. La stessa stagione in cui si realizzerà, per concorso, anche l’affresco di piazza della Calza di Mario Romoli. Nei particolari di questa grande composizione è possibile ripercorrere l’intera città, con un fascino che ci riporta alla quattrocentesca “Carta della Catena”: ebbene, salvata ma occultata durante gli ultimi lavori di ristrutturazione (privati), potrebbe essere staccata e ricollocata nell’atteso museo degli affreschi e delle sinopie di cui si parla da troppo tempo. La seconda opera su cui riflettere, per fortuna, è solo una scheggia filologica: si tratta dei “Rilievi del Boccascena del Teatro Comunale” di Bruno Innocenti. Queste sculture sono salve e in ostensione nel nuovo Comunale, ma si lamenta che l’esposizione al pubblico potrebbe essere riproposta con maggior rigore compositivo, secondo la concezione dell’artista, con un ordine logico che le lega una all’altra e che parta da ‘Apollo e le Muse’ , e si svolga con ‘Melpomene’ , Calliope, Euterpe e così via. In definitiva, si tratterebbe di ridare un senso compositivo più serrato e meno dispersivo che, forse, potrebbe ben giovare all’apprezzato salvataggio. Infine, torniamo a dire degli affreschi della ex-GIL di piazza Beccaria, salvati in extremis dalla demolizione, poi restaurati e prospettati al pubblico nel promesso (e mai definito) Museo delle Pagliere a Porta Romana. Ci chiediamo perché quest’opera, come quella di Grazzini, da anni, sia interdetta al pubblico.