
Dalla cella immaginava il mondo fuori. Trovò del pane secco sul tavolino e lo sbriciolò sul davanzale
Vichi
Si svegliò poco prima dell’alba come al solito. Anche quella notte aveva dormito poco più di tre ore, a intervalli, mentre gli altri russavano tranquilli. Leggeva fino a tardi, con una piccola lampada a batterie che attaccava alla mensola con una molletta di plastica. Ogni due ore nella cella si accendevano i neon per il controllo notturno, e lui staccava la lampada e si girava su un fianco fingendo di dormire. Era geloso di quei momenti, nessuno doveva saperne nulla, soprattutto i secondini. Leggeva solo romanzi, di ogni tipo. Non si ricordava mai la storia, gli rimanevano impressi solo i personaggi, soprattutto quelli che si portavano sulle spalle il peso di una grande ingiustizia, non importava se vincitori o perdenti. Gli piacevano anche quelli che dimostravano di avere la forza di combattere, che avevano le palle per attraversare la vita inseguendo un sogno o un’idea. Non era mai una questione di vincere o perdere. Quello che contava era farcela con se stessi, sapersi risollevare dopo ogni bastonata. Nei film invece gli piacevano i tipi che parlavano poco e non cambiavano mai espressione. Insomma i duri, quelli veri. Ogni tanto s’immaginava di essere uno di loro, ma non l’aveva mai detto a nessuno. Lui non aveva l’aria da duro, sembrava più un impiegato del Comune. Dalla finestra vide la luce verdognola dell’alba, ancora incapace di rischiarare la stanza. Era l’inizio della primavera, e il sole sorgeva verso le sei e mezzo. Si alzò senza fare rumore, per non svegliare gli altri. Quel tempo prima della sveglia era tutto suo, non lo voleva dividere con nessuno. A tentoni trovò del pane secco sul tavolino, poi andò alla finestra a sbriciolarlo sul davanzale di cemento. Si rimise a letto, incrociò le mani dietro la nuca e restò immobile a fissare la finestrella. Lui era un tipo tranquillo, che si faceva i fatti suoi e non dava noia a nessuno. Ma se rinchiudi una grande quantità di disgraziati in pochi metri quadrati non viene mai fuori nulla di buono. In galera aveva vissuto il peggio che la vita sa inventare. Diverse volte gli avevano fatto la festa trattandolo come una mignotta, ma era stato molti anni prima, quando era ancora un ragazzino. Con i compagni di cella aveva fatto a botte un’infinità di volte, ma era più corretto dire che le aveva prese. Lui era piccolo e magro, per questo se ne approfittavano tutti. Ogni tanto anche i secondini lo avevano fatto sanguinare a forza di calci e pugni, magari per una parola di troppo, o anche solo per il divertimento di sentirlo urlare. Non gli mancava nemmeno qualche cicatrice, qua e là. Aveva assistito a pestaggi, soprusi, omicidi e suicidi di ogni genere. Insomma aveva la memoria piena di piacevoli ricordi. Vide un’ombra scura agitarsi nello specchio della finestra, e sulle sbarre si posò un merlo. Era quasi un anno che veniva tutte le mattine a beccare le briciole sul davanzale. Lui stava immobile, per non spaventarlo. In carcere non si potevano tenere animali, era un vero peccato. Gli sarebbe piaciuto un sacco avere un topolino bianco, o magari una gazza. Guardava il merlo pensando che quei piccoli occhi tondi e neri avevano appena visto la città là fuori, le case piene di gente che dormiva prima di trascinarsi al lavoro. Il merlo saltò sul davanzale, beccò qualche briciola, poi storse la testa e si mise a fissarlo con un occhio. Lui sentì un’emozione forte, proprio in mezzo al petto, e sorrise.Forse non sorrise nemmeno, se lo immaginò soltanto nella mente. Poi il merlo se ne andò, e lui si voltò verso il muro. Lo avevano arrestato per traffico di macchine rubate, era la quarta volta.
Un pomeriggio di dieci anni prima, cinque poliziotti in borghese erano entrati correndo nel bar dove andava sempre e gli avevano puntato addosso un bel po’ di pistole, come nei film sulla mafia. Lui aveva alzato le mani e si era avviato con calma verso la nuova condanna.Al processo c’era mancato poco che il pubblico ministero chiedesse l’ergastolo.Sembrava molto arrabbiato e molto convinto. Forse anche a lui avevano rubato una macchina.
1-continua