Chirurgia, attese troppo lunghe. E i toscani si operano in trasferta

Aumenta la fuga di cittadini: per l’ortopedia gettonato il Rizzoli di Bologna, per l’oncologia lo Ieo di Milano. La Toscana paga oltre ai propri professionisti le Regioni che effettuano gli interventi: da 2mila a 20mila euro

Chirurgia, lunghe attese

Chirurgia, lunghe attese

Firenze, 4 settembre 2022 - Mentre si recupera (abbastanza) per visite ed esami, è sempre critica la situazione della Toscana per l’abbattimento delle liste d’attesa chirurgiche. Nonostante le aziende sanitarie snocciolino numeri d’interventi in aumento progressivo e predichino un miglioramento costante e poderoso, il monte totale di operazioni da smaltire (delle 37mila accumulate nei due anni di Covid) procede a passo di lumaca: in base a quanto risulta nella banca dati della Regione un migliaio al mese, a partire dal marzo scorso, quando è cominciata la sfida di azzerare i conti entro fine anno.

Impossibile? Per ora irrealistico, anche se la Regione ha affidato alle aziende sanitarie e ospedaliero universitarie un nuovo obiettivo: da settembre tornare a una produttività pari a quella del 2019, perché il Covid, che ormai sarà una compagnia perenne e cicilica, non diventi un paravento. Il direttore del dipartimento dell specialità chirurgiche dell’Asl Toscana centro Stefano Michelagnoli – che ieri pomeriggio era in sala operatoria – sostiene che l’azienda sanitaria abbia raggiunto quel risultato.

Ma c’è un alert che ha messo sull’avviso la Regione: cresce il numero dei pazienti in fuga. Per la chirurgia ortopedica si va al Rizzoli di Bologna, per l’oncologia allo Ieo di Milano. Danno l’appuntamento entro due settimane per chi proviene da fuori. Va così che la Regione Toscana oltre ai propri professionisti deve rimborsare anche le altre Regioni dai 2-3mila euro per un piccolo intervento ortopedico ai 20mila euro per una riparazione valvolare cardiaca e oltre per interventi in alta complessità. Eppure la sanità Toscana è sempre stata attrattiva: qui i pazienti sono sempre arrivati, ora se ne vanno i residenti. Qualcosa vorrà dire. Più di tanto non si può fare anche perché i 31 milioni che il governo ha dato alla Toscana per l’abbattimento delle liste d’attesa non sono vincolati (nel 2020 lo erano), quindi finisce che alcune aziende preferiscano risparmiare qualcosa che a fine anno poi verrà messo a bilancio con il segno più, anziché ingaggiare i privati per cercare di risolvere il problema: tanti istituti convenzionati lamentano uno scarso coinvolgimento delle aziende sanitarie in ambito chirurgico.

Cisti, ernie, colecisti, chirurgia ortopedica: si salvi chi può. Vero che non si tratta di interventi salvavita (su quelli la Toscana non perde colpi), ma aspettare per anni può far peggiorare la situazione e rischiare poi interventi complessi. Cinzia, 61 anni, deve fare un intervento per il piede a martello: da un anno e mezzo aspetta. L’hanno richiamata dall’ospedale per sapere se era ancora interessata (?) ma non hanno saputo fornirle ancora indicazioni sulla data, idem è successo a Diego, 42 anni, che deve operarsi quattro ernie inguinali: è in attesa da due anni. Ma c’è anche chi aspetta da prima del Covid.

Le sale operatorie (la Toscana nei nuovi ospedali ne ha tantissime) sono sottoutilizzate: almeno una su quattro non viene usata. Per poterle mettere in funzione servirebbe più personale (alle carenze attuali, soprattutto di anestesisti, si aggiungeranno quelle per pensionamento e licenziamento volontario) e, soprattutto, un maggior numero di posti letto, largamente insufficiente. Oltre al monte dei quasi 32mila interventi arretrati c’è da effettuare quelli che entrano ora in lista d’attesa. Quelli che ci arrivano. Perché prima c’è da fare la fila per la visita chirurgica.

Strategie? Prima che scoppiasse il Covid, il direttore dell’assessorato regionale al diritto alla salute Carlo Tomassini aveva ipotizzato di creare équipe di sala operatoria (con chirurgo, anestesista, ferristi presi tra Asl e aziende ospedaliero universitarie) per fare interventi in base a una lista unica di area vasta. Ora questa idea non piace più. Insomma, le strutture ci sono: servono idee e volontà politica poi un management che renda operativi gli indirizzi.

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