don Francesco
Vermigli
Nella vita può capitare qualcosa di bello, che ci dà respiro e speranza, eppure presto
la grazia di quella cosa e di quel momento svanisce. Abbiamo visto il bene e
l’abbiamo sperimentato, ma non l’abbiamo trattenuto. Non l’abbiamo fatto nostro. È
stato bello, ma è passato.
Un villaggio tra la Galilea e la Samaria e Gesù che attraversa quella regione: così
inizia il Vangelo di questa domenica (Luca 17,11-19).
Dieci lebbrosi si fanno
incontro a Gesù e chiedono di essere guariti. Mentre stanno andando dai sacerdoti –
come aveva indicato Gesù di fare – sono purificati. Uno solo, uno straniero, torna
indietro, lodando Dio e per ringraziare Gesù. Stupito, Gesù si chiede perché solo uno
su dieci – e per di più straniero – sia tornato indietro. E si domanda: "Non ne sono
stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?".
E, rivolto a quell’uomo dice:
"Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!".
Non basta che siamo toccati da qualcosa di bello. Non basta che un momento di
grazia ci raggiunga. È necessario custodire e trattenere quello che di bello e di buono ci accade.
La via che Gesù indica è semplice e diretta: rendere grazie. Grazie per il
bene ricevuto, grazie per il bello vissuto. E il bene e il bello che abbiamo
s perimentato non scompaiono, non svaniscono. Rendere grazie è il modo concreto mediante il quale noi non lasciamo andare la grazia di un momento. È il modo
attraverso il quale quel momento e quella grazia continuano a vivere con noi.
Il ringraziamento continua a scaldarci il cuore, anche nei momenti di buio e di freddo.
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