Ranucci: "Il giornalismo è sotto attacco" Il conduttore di ’Report’ ospite del liceo Agnoletti parla di inchieste e del ruolo dei corrispondenti di guerra: "Prima di tutto la verità"

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di Sandra Nistri

In Rai dal 1990 è stato prima inviato per le rubriche del Tg3 e poi per Rainews 24 dove ha realizzato inchieste ‘di peso’. Nel 2006 è entrato, come autore di Milena Gabanelli, nella squadra di Report di Rai 3 e dal 2016 è autore e conduttore del programma. Sigfrido Ranucci ieri mattina ha incontrato gli studenti del liceo Agnoletti con cui ha discusso di informazione ma anche del lavoro, attualissimo, del corrispondente di guerra.

Ranucci, l’ultimo anno, fra falsi dossier, attacchi personali e alla trasmissione, è stato sicuramente duro per lei. Quanto è difficile fare una informazione come quella di Report?

"Quello che è successo in questo ultimo anno forse non ha precedenti nella storia del Paese. Potrebbe anche inorgoglirmi il fatto di essere io al centro di un attacco così potente ma, in realtà, c’è una trasmissione che è sotto attacco ed è sotto attacco il giornalismo di inchiesta e quello che Report rappresenta e ha rappresentato negli ultimi 25 anni".

Report da sempre conta sull’appoggio del pubblico anche per il tipo di informazione che veicola…

"Da 12 anni Report è al numero uno dell’indice Qualitel che è un indice di un sondaggio particolare che fa la Rai, per commissione del Governo, nel momento in cui firma il contratto di servizio pubblico e viene ritenuta la trasmissione più credibile, la più affidabile e con più alto tasso di inclusione sociale".

Mai come in questo periodo il ruolo i giornalisti sono sotto attacco e la loro credibilità e il loro ruolo sono messi in discussione: come si può recuperare?

"Credo che in parte la perdita della credibilità e del ruolo dei giornali e dei giornalisti dipenda da noi e un po’ sia responsabilità dei social perché abbiamo lasciato per molti anni che la gente si informasse sui social credendo che le informazioni trovate su questi canali fossero verità e non è così. Io uso spesso un termine, quello di bibliotecario ubriaco, per definire il web perché tu non sai se la notizia data sia vera o meno. Per quanto mi riguarda sono per la presenza massiccia di testate che hanno credibilità e giornalisti sui social".

Parliamo di attualità: come si racconta il conflitto tra Russia e Ucraina?

"Bisognerebbe per prima cosa capire perché si arriva a questo conflitto. Poi per poter raccontare bisogna essere strutturati perché l’informazione di guerra è una informazione sensibile. Non è un caso che il Pentagono per primo ma anche altri grandi potentati abbiano definito la figura del giornalista embedded, che vuol dire incastonato: se sei incastonato con le truppe come fai a riferire la verità? Ma se non sei incastonato sei a rischio e non è un caso che fra i giornalisti freelance nelle zone di guerra ci sia il maggior numero di morti: la vittima, in entrambi i casi, è la verità".

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