Quella maledetta domenica fermò i cuori di Firenze

Il 16 maggio ’82 la città vide volare via il 3° scudetto. Domani saranno quarant’anni. E fa male ancora

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di Alessandro

Fiesoli

Non è che sia passata. Anzi. Quell’immagine di Franco Zeffirelli che in tv si soffia il naso con la bandiera juventina messagli in mano dal tifosissimo bianconero Mike Bongiorno rende ancora oggi molto bene, come solo il Maestro sapeva fare, lo stato d’animo, la rabbia, il gran dispetto, diciamo pure la solenne incazzatura alla Bianciardi (in televisione si sente di peggio) della Firenze di allora. on è il caso di affrontare, anche se un domani, o un dopodomani, chissà.

Nessun fiorentino di cuore viola sano vorrebbe rivivere quella domenica 16 maggio dell’anno di disgrazia 1982. Che pure, fino a quel giorno, era stato bellissimo e drammatico, con l’infortunio di Antognoni (il lancio di Miani al suo posto) abbattuto da Martina il 22 novembre, con il Genoa. E con un immediato e infausto presagio: la mancata vittoria nello scontro diretto con la Juventus a Firenze del 4 aprile, quello zero a zero che spingeva verso la soluzione di uno spareggio per lo scudetto. Molto poco gradita dalla federazione (lasciamo fuori dai giochi politici Bearzot) nell’anno del mondiale, con mezza Juventus in azzurro e tutta una preparazione per la Spagna da programmare. E così dalle designazioni per l’ultima giornata sparì il nome di Paolo Casarin, il numero uno, con Pieri di Genova a Catanzaro e l’indimenticabile Mattei di Macerata a Cagliari.

Una Firenze degli anni Ottanta, sindaco Gabbuggiani, terrorizzata dal mostro, ma infiammata nel calcio dall’acquisto della Fiorentina da parte del Conte Pontello e della sua famiglia. Il Conte, un patriarca. "Gliela faremo vedere al metalmeccanico di Torino", e la sua battuta concessa alla trasmissione ‘Fuorigioco’ di Telelibera Firenze, condotta da Massimo Sandrelli con Giordano Goggioli, fece vibrare tutta la città, dopo anni di un anonimato dignitoso e illuminato solo da Antognoni.

Subito Bertoni, primo straniero in Italia dopo la riapertura delle frontiere, a seguire grandi colpi di mercato come Pecci e Graziani, Monelli e Massaro, Cuccureddu dalla Juve, il prestito di Vierchowod. E De Sisti, gran tecnico dopo essere stato il fantastico capitano del secondo scudetto, in panchina. "La mi porti un bacione a Firenze", canticchiava ironico Pecci nei suoi ultimi giorni in maglia granata, contento dell’imminente trasferimento in viola. Caro Eraldo, amico anche di chi scrive, se quella domenica a Cagliari un infortunio non ti avesse lasciato in tribuna forse sarebbe andata a finire in un altro modo, forse quel bacione a Firenze sarebbe arrivato, nonostante Mattei, il gol regolare annullato a Graziani per un fallo attribuito a Bertoni ("Fu il difensore a spingermi contro il suo portiere", la versione anche a tanti anni di distanza del ‘Puntero’), il rigore a Catanzaro di Brady e soprattutto il mancato rigore ai calabresi per una bidonata in area di Brio al centravanti Borghi. Pecci, con la sua personalità, forse sarebbe riuscito a cambiare qualcosa in quel copione che in gran parte era già scritto. E che ha tolto ai Pontello quello che per il loro impegno anche nel coinvolgimento della città sarebbe stato uno scudetto meritato, mentre da Cagliari, come sappiamo, è cominciata un’altra storia via via sempre più difficile, finita con la cessione di Baggio. Peccato, poteva e forse doveva essere tutto molto più bello. Ma fu deciso di sabotare un progetto calcistico, quando Nassi aveva già in mano il contratto di Van Basten, che dava molto fastidio ai potentati del calcio. A cominciare da quello bianconero, allora.

"Perché odio la Juventus" era stato il titolo di un articolo pubblicato a suo tempo da Manlio Cancogni sul Corriere della Sera. "E’ sempre stata il simbolo del potere prima del fascismo, durante il fascismo, dopo il fascismo", scriveva. Ognuno di noi, penso, ricorderà con precisione dove si trovasse quel pomeriggio del 16 maggio 1982, con chi fosse a seguire le due partite in contemporanea alla radio, se da solo, con la fidanzata, con gli amici. Fino a quella mattina, l’unico modo per darsi il buongiorno, a casa, nei bar, a lavoro, sui bus era "alè viola". Dal lunedì successivo, un solo modo per salutarsi: "Juve m….". E’ finita con "Meglio secondi che ladri", un modo geniale, nello spiritaccio fiorentino, per alleggerire quel senso di ingiustizia e rabbia. E non è che sia passata, quarant’anni dopo. Anzi.

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