Firenze, 30 novembre 2022 - E adesso inizia il conto alla rovescia, per i Ciatti. I giudici del Tribunal superior de justicia de Cataluña, a Barcellona, si sono ritirati in camera di consiglio e scioglieranno la riserva tra qualche giorno, una settimana o forse anche di più. Nelle loro mani, c’è il verdetto sul ceceno accusato dell’omicidio di Niccolò Ciatti, ucciso nell’estate del 2017, all’età di 21 anni, da un calcio alla testa sferrato dal professionista della lotta Rassoul Bissolutanov sulla pista di un locale di Lloret de Mar.
"L’accusa ha chiesto la conferma della condanna a quindici anni, per noi troppo poco", dice Luigi, padre della vittima e simbolo di una battaglia per la giustizia che dura ormai da più di cinque anni. In tutto questo tempo, è successo ben oltre l’immaginabile. La più clamorosa è la fuga di Bissoultanov, latitante dallo scorso luglio. Fuga indirettamente propiziata da un’ordinanza del tribunale di Roma poi annullata dalla Cassazione quando era però troppo tardi.
L’assenza dell’imputato ieri mattina, comunque, non è stata ritenuta condizione d’improcedibilità: la corte d’appello spagnola, guidata da due giudici donna, è andata avanti lo stesso, senza neanche prendere in considerazione la non presenza del ceceno.
L’udienza è scivolata via spedita, senza intoppi né particolari sorprese. La pubblica accusa, come detto, ha chiesto la conferma in punto di pena di quanto inflitto a Bissoultanov dal tribunal del jurado di Girona nel giugno scorso, cioè 15 anni, il minimo.
La difesa del ceceno ha puntato, forse con meno convinzione rispetto al precedente giudizio, sul ridimensionamento della condotta dell’imputato in un colposo. La famiglia Ciatti, rappresentata dall’avvocato Francesco Co, e sostenuta da rappresentanti dell’ambasciata italiana, ha ribadito la sua posizione: il massimo della pena, che in Spagna, per questo delitto, sono 25 anni.
Ma da Barcellona, i genitori di Niccolò rientrano anche con la conferma della scarsa collaborazione tra Spagna e Italia. Dopo il mancato accordo sulla giurisdizione, che ha dato vita al processo “gemello“ davanti alla corte d’assise di Roma, la giustizia iberica ha fatto sapere di non aver concesso il proprio benestare all’audizione in videoconferenza dei testi spagnoli inseriti nel procedimento italiano. "La motivazione è stata che c’è già un giudicato in Spagna, ma non è così. Assurdo", commenta ancora Luigi Ciatti.
A questo punto, è una gara a chi arriverà prima al giudizio definitivo, che sarà anche quello “valido“. La Spagna, ora che è stato discusso il secondo grado, è nettamente in vantaggio. A Roma, prossima udienza fra pochi giorni, ma difficile che la corte d’assise possa arrivare a sentenza prima della primavera del 2023, in virtù anche dell’ultimo ostacolo posto dagli spagnoli. E nel frattempo, chissà dove si trova Bissoultanov.