Michelangelo e la Pietà Bandini, il restauro svela i tormenti dell'artista

Conclusi gli interventi sul capolavoro del Buonarroti anziano. Tante le novità emerse sulla storia della scultura

La Pietà Bandini (New Press Photo)

La Pietà Bandini (New Press Photo)

Firenze, 24 settembre 2021 - Eliminate le patine ambrate che da decenni velavano il marmo, tutto il vigore ma anche la delicatezza dello scalpello di Michelangelo sono tornati chiari, leggibili, emozionanti. Dalle parti più modellate e rifinite in ogni dettaglio, alla ruvidezza della materia lasciata alla maniera del “non finito“, sembra che la pìetas per quel Cristo deposto dalla croce avvolga l’intero gruppo ai piedi della croce: Maria, la Maddalena e Nicodemo, in cui il Buonarroti ha scolpito il suo ritratto di uomo anziano e addolorato.

Ci sono voluti quasi due anni per terminare il restauro della Pietà Bandini, custodita nel museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, forse l’ultimo pezzo di marmo su cui Michelangelo abbia messo le mani, che adesso ha recuperato plasticità e candore.

L’intervento, finanziato dai Friends of Florence e forse il primo su questa Pietà, non solo ha permesso di scoprire nuove “impronte“ della complessa storia del monumento. Ma ha raccontato storie inedite di questo blocco di marmo “non perfetto“ e non di Carrara ma di Seravezza.

«Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze - spiega la restauratrice Paola Rosa – e di aprire una strada per trasportarli al mare. Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando scolpisce la Pietà tra il 1547 e il 1555, rimane però un mistero. Sappiamo anche che Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dall’esterno».

Col restauro è stato possibile confermare, per la prima volta, che il marmo utilizzato per la Pietà era effettivamente difettoso, come racconta anche il Vasari nelle “Vite” descrivendolo duro, pieno d’impurezze e che “faceva fuoco” a ogni colpo di scalpello.

Sono, infatti, emerse tante piccole inclusioni di pirite, che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille. Ma Michelangelo si era arrabbiato soprattutto per la presenza di numerose microfratture. In particolare una sulla base, che appare sia davanti che dietro, fa ipotizzare che abbia creato non pochi problemi nel modellare il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine. Tanto costringere il Buonarroti ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro. E chissà con quale furia. 

«Ed è ipotesi più credibile quella di un Michelangelo che oramai anziano, scontento del risultato - prosegue il direttore del Museo dell’Opera, Timothy Verdon -, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggere la scultura a martellate e delle quali il restauro non ha individuato traccia, a meno che Tiberio Calcagni non ne abbia cancellato i segni». 

Grazie alla scelta di realizzare un cantiere di restauro “aperto” i visitatori del Museo dell’Opera del Duomo hanno potuto vedere il restauro in corso d’opera. Adesso, in via eccezionale, per i prossimi 6 mesi, da domani al 30 marzo, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e irripetibile, la Pietà restaurata. 

Il restauro, affidato alla restauratrice Paola Rosa, ha avuto la collaborazione di Emanuela Peiretti, coadiuvate da un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera. Le quattro figure che compongono l’opera sono scolpite in un blocco di marmo, alto 2 metri e 25 centimetri, del peso di circa 2.700 chilogrammi. 

Il restauro preceduto da un’ampia campagna diagnostica ha fornito informazioni fondamentali per la conoscenza dell’opera e per l’intervento successivo. Sulla Pietà di Michelangelo non erano presenti patine storiche, a eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura. Molti, invece, i depositi superficiali, a partire dalla presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco eseguito nel 1882, che aveva lasciato un vistoso candore e un’eccessiva aridità sulle superfici. Per ovviare a questo sgradevole effetto, sopra i residui di gesso erano state applicate, ripetutamente e nel corso del tempo, delle cere. 

Alla presentazione del restauro sono intervenuti, tra gli altri il presidente dell’Opera del Duomo Stefano Bagnoli, io soprintendente Andrea Pessina, il membro del Cda dell’Opera Antonio Natali, la presidente dell’associazione Friend of Florence, Simonetta Brandolini d’Adda. «Friends of Florence è nata per la salvaguardia del patrimonio artistico di Firenze e della Toscana - ha detto la presidente –. I nostri benefattori spesso si appassionano a un certo artista e il genio di Michelangelo è una delle figure più importanti che abbiamo seguito in questi anni.  Il restauro della Pietà Bandini ha entusiasmato subito i nostri benefattori perché è un’opera così intima e ricca di potenza. L’intervento ha rivelato tutta la maestria ma anche i tormenti dell’artista. Ringrazio l’Opera di Santa Maria del Fiore e il Museo per averci coinvolti nel restauro di questo grande capolavoro».

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