di Giovanni Bogani
"Un Maggio Musicale pop e rock? Ma perché mai? Un concerto rock nel teatro del Maggio? No. Il rock ha un modo di fruizione, un pubblico assolutamente diverso da quello dell’opera. Usa spazi totalmente diversi. Mi sembra solo una boutade, una cortina di fumo per nascondere una serie continua di errori, di responsabilità politiche".
Alberto Mattioli, modenese, giornalista e scrittore, esperto di teatro musicale, è autore dei libri "Pazzo per l’opera" e "Big Luciano", biografia di Luciano Pavarotti. Sulla questione del Maggio musicale la vede così.
Che cosa non funziona nel Maggio Musicale fiorentino?
"Prima di tutto, il teatro. Proprio il luogo, la ‘scatola’. È sbagliata. Eppure se ne fanno di bellissimi, dall’Oman alla Cina. Ma questo è troppo grande, con troppe sale, sproporzionato alle esigenze della città. Una città che io amo molto, ma che – va detto – non ama il Maggio. Perché tutti si stracciano le vesti per le sue sorti, ma mai nessuno sponsor che abbia tirato fuori un fiorino...".
La Regione ha stanziato un contributo straordinario di 750mila euro, che si somma agli annuali 2 milioni e 900mila di contributo ordinario. E si sono scatenate polemiche. "Bisogna capirlo una volta per tutte: l’opera lirica è un genere che o viene finanziato con denaro pubblico o non si fa: sognare un teatro d’opera che si regge da solo è puerile. È giusto che gli amministratori pubblici sostengano la lirica, che è fondamentale per la cultura italiana. Noi siamo conosciuti nel mondo per la pizza, la mafia, la Ferrari e l’opera lirica. Certamente il denaro pubblico deve salvare questo patrimonio del made in Italy, l’opera, nella città nella quale l’opera è stata inventata, Firenze".
Niente pop e rock. Dove deve guardare il Maggio per salvarsi?
"L’opera è di per sé contemporanea: dobbiamo toglierle di dosso la polvere, la muffa. Smettere di fare la milionesima Traviata nello stesso identico modo. Ma per quale motivo dovrei prendere un aereo e andare a vedere una Traviata uguale ad altre centomila?".
Puntare sulla sperimentazione?
"Si dovrebbe avere coraggio. Smettere di chiudere l’opera lirica in un museo. Ci siamo dimenticati che Maria Callas, la più rivoluzionaria interprete dell’opera, è nata proprio con il Maggio? Dagli anni Trenta del Novecento il Maggio è stato sperimentazione".
C’è una situazione finanziaria preoccupante. Si parla di un debito di oltre 50 milioni...
"Rendiamoci conto che nessuna istituzione italiana ha pompato soldi dallo Stato come il Maggio. Dove, peraltro, i professionisti eccellenti che ne compongono l’orchestra vengono pagati meno che altrove".
Dove si sono perduti i soldi? "Hanno detto ad Alexander Pereira, l’ex sovrintendente, di fare grande teatro con grandi nomi. Ma Firenze non è Salisburgo, e anche Salisburgo si regge su sponsor privati, Audi, Rolex… La follia è stata chiedere a Pereira di seguire un modello troppo ambizioso. Ma la colpa non è sua, è di chi glielo ha detto".
Qual è allora il modello giusto?
"Cercare i giovani, fare scouting, evitare le spese folli. Un bravo regista sa montare Macbeth anche con quattro sedie".
E nel rapporto con il pubblico? "Eugenio Giani dice che solo il 4% dei fiorentini ama l’opera. Bene: prima di tutto non disamorare loro, e subito dopo fare riavvicinare all’opera l’altro 96 per cento".