La favola malinconica di Paolorossi il pratese. Portatore di felicità, campione per sempre

Dagli esordi col Santa Lucia al titolo di campione del Mondo: "Lui è rimasto sempre lo stesso, un fuoriclasse senza averne l’aria"

La notte della finale dell'82 a casa Rossi (foto Bolognini)

La notte della finale dell'82 a casa Rossi (foto Bolognini)

Prato, 11 dicembre 2020 - Era un ragazzo di Prato e quell’estate dell’82 ci consegnò senza saperlo una sorta di passaporto per la felicità. Ovunque andassimo, fosse Europa, Asia o America, quando l’interlocutore scopriva che eravamo italiani, spalancava gli occhi al sorriso: "Ah, Paolo Rossi!". Si, in quel tempo per gli altri eravamo tutti Paolo Rossi, noi italiani. O meglio: "Paolorossi" tuttattaccato, che da allora divenne un sostantivo per definire il formidabile che si coniuga alla semplicità.

Paolorossi, ragazzo di Prato, è stato per anni l’italiano più famoso nel mondo e forse lo è ancora, consegnando di noi all’estero un’immagine rassicurante di pulizia e talento. Proprio come lo era Prato, la sua Prato, allora città del sogno americano, che premiava il merito e l’impegno e rifuggiva dall’apparenza e dal futile: "Io dell’esser pratese ho preso una grande forza di volontà, di riuscire ad arrivare, di non stancarsi e di non mollare mai", spiegò lui stesso in un’intervista qualche tempo fa.

Rossi nel salone consiliare di Prato
Rossi nel salone consiliare di Prato

Paolorossi, un ragazzo di Prato fuoriclasse senza dare l’idea di esserlo, un campione normale così come il suo nome comune: a quei tempi c’era persino un cartone animato che si chiamava “il signor Rossi”. Un signore calvo e grigio, che portava i baffi, un anonimo cappello e lavorava in un ufficio anonimo. Lui invece, di anonimo aveva solo il nome, ma ovunque e soprattutto in campo era straordinario. Se ne accorsero subito da queste parti, prima sul campo tutta polvere dell’Ambrosiana nel quartiere del Soccorso, sotto gli occhi di mister Cambi che all’iniziò lo pensò ala destra, come il padre Vittorio, ex ala destra del Prato. Quindi a Santa Lucia, la squadra del suo quartiere, dove si apre la vallata del fiume Bisenzio e comincia la città della lana. Li aveva casa la famiglia Rossi e lì, davanti alla villetta d’angolo di Vittorio e Amelia, confluiva la lunga processione di auto e moto imbandierate di tricolore che, nell’estate del 1982, correva dopo ogni gara del mundial a festeggiare il figlio migliore della città, colui che stava trascinando l’Italia del pallone sulla vetta del mondo. Santa Lucia, un po’ santuario di Loreto, un po Disneyland, un po’ Broadway. E lui, Paolorossi tuttattaccato, il mito da celebrare. Il fuoriclasse che non dava l’aria di esserlo. Piuttosto il ragazzo della porta accanto, colui che raggiunge il successo attraverso la strada della dedizione e dell’impegno e non ne resta schiacciato perché non ne è ammaliato, conservando intatta l’anima e rimanendo lo stesso di prima: "Ogni volta che tornava aveva sempre un sorriso per tutti non si negava a nessuno", raccontano oggi i pratesi col lutto dentro. Qualcuno ha proposto per questo di intitolargli lo stadio, altri una via. Lo meriterebbe.

Il padre Vittorio Rossi intervistato dopo la finale mundial (foto Bolognini)
Il padre Vittorio Rossi intervistato dopo la finale mundial (foto Bolognini)

Paolorossi il pratese, l’ultimo campione analogico in un tempo che si apprestava a diventare digitale. In fondo, con quei suoi gol autarchici al Brasile e poi alla Polonia e poi alla Germania, ha di fatto dato il via agli anni ’80, chiudendo il grigio della stagione di piombo e aprendosi alla leggerezza e al colore del nuovo tempo. E dunque Quelli della Notte e Striscia la Notizia, Gorbaciov e il muro di Berlino, gli Wham e il Live Aid, gli Swatch e il personal computer. Vien quasi da pensare che senza Paolorossi saremmo ancora al punto di partenza. Al bianco e nero e all’Italia dell’iperinflazione. Chissà. Paolo Rossi, "un pratese di guancia sfuggente – scrisse a suo tempo Vladimiro Caminiti – con quegli occhi ramificati nella malizia, un sorriso che è sempre un sorrisino prendingiro e comunque il centravanti più moderno che ci sia mai stato". E questo forse è vero proprio grazie alla cultura pratese del lavoro. Perché Rossi non aveva la fisicità di Gigi Riva, non aveva la generosità di Graziani, la prepotenza di Pulici o l’agilità di Pruzzo, ma quando la palla arrivava nell’area piccola, lui era il più forte di tutti. Perché, la cultura pratese della fabbrica diffusa appunto, gli aveva insegnato come anticipare il tempo, come presentarsi sempre all’appuntamento col gol prima dell’avversario. Rossi Paolo da Santa Lucia, un fenomeno nel rapinare le difese sull’ultima parabola, sul minimo errore, sul più banale equivoco.

Per i suoi funerali, a Prato sarà lutto cittadino. Il Comune esporrà la bandiera a mezz’asta e il sindaco ha invitato tutti a mettere un tricolore a lutto a ogni finestra. In fondo fu lui, quasi 40 anni fa, a far si che ogni italiano tirasse fuori la bandiera italiana e la esponesse con orgoglio al vento del proprio balcone. Oggi sembra il modo più adatto per ricordare questo ragazzo- generatore di gioia, anche se la malinconia avvolge tutto. La malinconia del tempo che passa inesorabile e non ha remore a portarsi via anche chi, in una lontana ma vicina estate dell’82, ci ha regalato un momento di felicità che, anche fosse stato solo un attimo, sarà comunque per sempre.

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