La favola comica di Giulia Bartolini

In scena da domani al teatro Manzoni di Calenzano

Dopo aver riscosso un notevole successo in diversi teatri italiani, arriva al teatro Manzoni di Clenzano da domani a domenica lo spettacolo ’Canaglie’, scritto e diretto da Giulia Bartolini. In scena una famiglia italiana. Una madre, tre figli da crescere, una tavola intorno a cui riunirsi ogni sera per parlare della giornata, gli studi, il lavoro, i battibecchi, la necessità di arrivare a fine mese… e poi la vicina di casa, un parroco che sembra un prete, una lettera scarlatta che appare sulla soglia, così, dal nulla, una vecchia Fiat 500, il sospetto, il dubbio, le bugie e alla fine la rivelazione di tutti i segreti di una famiglia per niente normale, esperimento sociale di un mondo ribaltato. Una favola comica che parla di ciò che siamo e ciò che scegliamo di essere, in un mondo leggero come un cartone animato in bianco e nero che finisce per trasfigurarsi in una realtà piena di colore e più cruda che mai. "È l’immaginazione dello spettatore quella che vogliamo stimolare, seguendo il principio base secondo il quale con poco si può fare molto – dice Giulia Bartolini –. Cosa è giusto e cosa è sbagliato? Cosa c’è alla base di ogni famiglia? Cosa ci spinge a superare il limite? E qual è il limite? Che significa avere trent’anni e sentirsi ancora figli? Sono tutte domande che il nostro spettacolo si pone e pone allo spettatore con quello che è propriamente un piccolo thriller familiare, una commedia oscura, fuori dalle righe, un incastro, semplice eppure complesso, alla fine del quale capiremo ciò che è veramente reale e ciò che non lo è".

Uno spettacolo non fondato sulla forma o sull’estetica, ma sul contenuto, sulla storia, sull’intreccio della narrazione. Sullo sfondo di un’Italia degli anni ’50-‘60, il paese della grande commedia all’italiana, i protagonisti Grazia Capraro, Luca Carbone, Francesco Cotroneo e Giulia Trippetta sono moderni, ma è come se fossero, nei costumi, nei colori, nell’immaginario, bloccati in un’Italia che non esiste più, a raccontare quella sindrome dell’epoca d’oro che tutti noi conosciamo bene.

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