Baciare il rospo anche a Firenze, un’altra volta. Son convinto che il paragone con Lamberto Dini non farà piacere a Matteo Renzi, ma la vicenda che vede oggi il Pd affaccendato a costruire una maggioranza per rivincere il prossimo anno le elezioni comunali a Firenze, ha molto a che vedere con la storia passata che interessò l’ex direttore di Bankitalia.
Allora, ed era il 1995, pur di affossare Berlusconi, gli allora Ds scelsero di ingoiare baciare il “rospo” Dini nella speranza che la nuova maggioranza anomala di governo con lui alla guida potesse trasformarlo in un “principe” utile alla causa di partito. Stavolta a Firenze, come ha rivelato La Nazione, il Pd schleiniano, pur di non consegnare Palazzo Vecchio alla destra, sembra disposto a ingoiare il rospo Renzi, ovvero ad allearsi con colui che fino a pochi giorni era visto come il nemico più acerrimo. Un’autentica inversione a U.
La spinta per compierla è arrivata dall’ultimo voto amministrativo, che in casa dem ha fatto capire come l’ipotetico campo largo con i 5 stelle sia roba buona solo per i talk show di Rai 3, visto che nessun elettore grillino nel seggio sembra disposto a votare i candidati sindaco Pd. Da qui, la riflessione sulla necessità di riaprire a Italia Viva per ridefinire un’alleanza organica di centrosinistra vincente nelle urne.
Certo, le condizioni perché il bacio del “rospo“ Renzi avvenga non sono semplici. A oggi, il collante che nel Pd tiene assieme l’eterogenea maggioranza schleiniana sembra essere proprio l’antirenzismo, perdipiù dentro l’area riformista non sono pochi gli ex renziani di ferro in crisi politica e umana col Rottamatore e, per questo, lo stesso Renzi sembra non aspettare altro che il tempo per rivalersi con coloro che lui ritiene dei fedifraghi. Niente di buono, visto che da sempre, come insegna Shakespeare, gli odi e i rancori familiari innescano finali tragici. Riuscirà stavolta l’interesse a far prevalere la politica sull’antipatia e il risentimento? Ecco la vera domanda alla quale nessuno oggi può dare risposta. Anche perché la politica, in quanto a fantasia e imprevedibilità ha tutto da insegnare persino a Shakespeare e a qualcunque altro letterato.