"Writers e Comune, è ora di parlarsi"

L’artista Skim, che lavora negli spazi legali, chiede all’amministrazione più dialogo

Lo street artist Skim, nella vita Francesco Forconi, con un suo graffito

Lo street artist Skim, nella vita Francesco Forconi, con un suo graffito

Firenze, 24 agosto 2019 - Anche le mura possono diventare un campo di battaglia che divide chi le difende e chi vuole appropiarsene. Così è successo a Firenze negli ultimi dieci giorni, durante i quali centinaia di cittadini si sono rivolti a La Nazione, inviando fotografie al nostro numero whatsapp, per denunciare facciate di palazzi imbrattate, saracinesche di negozi verniciate e mura «deturpate» da scritte o scarabocchi. Ma da chi? I principali sospettati sono i writers o graffitari» un movimento che si è sempre mosso ai margini della legalità, ma che - piaccia o no - ha un mondo di codici, valori e una lunga storia alle spalle. Per comprenderlo abbiamo intervistato Skim, nella vita Francesco Forconi, street artist che del graffitismo ha fatto un mestiere e nel tempo dagli spazi illegali si è spostato verso quelli legali.

Skim, lei come spiega il fenomeno di tutti questi «scarabbocchi» sparsi per la città? Secondo lei questa è arte?

«Cosa è arte e cosa non lo è, non sarò mai io a deciderlo. Posso però dire che solitamente gli street artists in erba iniziano dal disegnare con le bombolette le loro firme per poi, con il tempo, realizzare dei lavori più complessi, come disegni o ritratti, che agli occhi di cittadini e commercianti possono apparire anche più belli. È il caso ad esempio dell’artista Taki 183, che con la sua firma ha riempito la New York degli anni ’60 ed è poi diventato un artista riconosciuto da tutto il mondo. Oppure Basquiat.

Lei però per le sue opere sceglie spesso gli spazi «legali», predisposti dal comune. Perché?

«Per due motivi: il primo è che ho fatto della mia arte un mestiere; il secondo è che voglio avere a disposizione tanto tempo per lavorare alle mie opere e questo non è possibile, muovendosi nell’illegalità».

Firenze accoglie la street art?

«Nonostante le iniziative messe in piedi dall’amministrazione, gli spazi messi a disposizione per i writers e i graffitari non sono ben regolamentati e soprattutto nessun museo di Firenze apre i suoi spazi alla nostra arte: quello del Novecento ad esempio potrebbe accoglierci».

La sua arte è caratterizzata da forti colori e atmosfere fiabesche, perché?

«Il mio stile è un caos armonico, creo spesso delle storie intricate in cui lo spettatore può vederci quello che vuole. Un esempio? L’opera in cui ho disegnato una barca nel mare, dove in mezzo alla moltitudine di soggetti si vede una mano che chiede aiuto».

Lei non crede che un cittadino o un commerciante siano nel diritto di arrabbiarsi se si svegliano la mattina con il portone imbrattato o la saracinesca del negozio deturpata?

«Secondo me sono mondi troppo distanti per parlarsi e le amministrazioni su questa strada possono fare tanto e meglio rispetto a quello che è stato fatto finora. In Italia la cultura del graffitismo e della street art ha ancora tanta strada da fare».

Il suo slogan è «In color we trust», cosa significa?

«Mi sono ispirato allo slogan americano scritto sui dollari “In God we trust”. Io credo invece nell’arte, perché può rendere il mondo un posto migliore.

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