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Fratelli uccisi per vendetta Al via l’esame del dna

Il gip di Firenze affida l’incarico a un perito: ci sono 80 reperti dell’epoca. Omissis sulle carte del pm: solo uno dei 10 indagati rifiuta il prelievo biologico

Un duplice delitto da scoprire grazie alle nuove tecniche di analisi del dna: è ufficialmente iniziato l’incidente probatorio sul caso dei fratelli Angelo ed Ettore Talarico, trovati cadavere in una fossa della campagna di Terranuova Bracciolini nell’aprile del 2006. Entrambi ’sparati’ con un colpo in testa. Un’esecuzione mafiosa ordita dalla ’ndrangheta, secondo la Dda di Firenze, che con il pubblico ministero Giuseppina Mione ha rispolverato un cold case e notificato avvisi di garanzia nei confronti di dieci persone. Negli atti depositati dalla procura alcune pagine sono omissate: se la riapertura del caso, a fine 2020, sia stata innescata da dichiarazioni di terzi è ancora avvolto nel mistero. Ma non è escluso che a rimettere gli inquirenti sulla pista della vendetta tra ndrine possa essere stata una gola profonda.

Il gip del tribunale di Firenze, Piergiorgio Ponticelli, ieri mattina ha nominato la genetista di Roma Marina Baldi perito d’ufficio. A partire dal 22 marzo, di concerto con i consulenti della procura e degli indagati, daranno il via alle operazioni. Dai campioni salivari donati spontaneamente da quasi tutti gli indagati (ad eccezione di uno, Domenico Colosimo che viveva con i fratelli in Valdarno, verso il quale la procura eserciterà un provvedimento coattivo del giudice), verrà acquisito il dna. E poi verranno riaperti gli scatoloni dei numerosi reperti recuperati a Borro delle Caprenne, il punto in cui, la mattina del 10 aprile di 16 anni fa, alcuni residenti del posto notarono sangue e terra smossa. Angelo ed Ettore Talarico, 42 e 35 anni, dopo essere stati uccisi erano stati seppelliti in una buca: all’epoca si ipotizzò che a scavarlo furono le stesse vittime, trovate nella buca con i guanti di lattice indossati e macchiati di sangue, oltre a una pila in tasca. Accortezze che avrebbero dovuto avere gli assassini piuttosto.

Ma da chi furono assassinati? Il delitto si sarebbe consumato nell’ambito di quella che ora, come allora, sembrò una vendetta per una guerra di ’ndrangheta, maturata nella terra di origine. Già all’epoca gli investigatori sospettarono di un gruppo di calabresi, gli stessi che a gennaio scorso hanno ricevuto l’avviso di garanzia, con contestuale perquisizione. Giovanni Greco, detenuto, Eliseo Greco (da anni residente a San Giovanni Valdarno, come le due vittime) Mario Gigliotti, Domenico Colosimo (il coinquilino), Vincenzo Antonio Iervasi, Fiore Gentile, Tommaso Gentile e Filippo e Raffaele Bubbo.

L’indagine è stata riaperta nel 2020: gli investigatori hanno ripreso in mano tutti i reperti dell’epoca, un’ottantina tra abiti e campionamenti anche nell’appartamento e nell’auto. Paolo Canessa che allora portò avanti le indagini insieme a Elisabetta Iannelli dispose una consulenza genetica ma non tutti i reperti furono analizzati per timore – è scritto – di non conservare materiale biologico sufficiente ad ulteriori analisi. L’indagine è stata ripresa in mano dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Firenze, guidati dal tenente colonnello Angelo Murgia che hanno sentito nuovamente i familiari dei Talarico e stanno cercando incatrare nuovamente i pezzi del un mosaico rispondendo ad alcuni interrogativi mai chiariti: perché, ad esempio, coprire i cadaveri di calce per ’bruciarli’ quando poi avevano indosso i guanti. Prossima udienza il sette giugno con il responso del perito.

Stefano Brogioni e

Erika Pontini