Flipper & bilie: "Tutti i giochi del mio mare" La villeggiatura non rock di Ghigo Renzulli

Padre finanziere, madre casalinga, un fratello: il periodo di Marina di Grosseto tra amici e concerti. "Quando cantava Mal dei Primitivs"

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di Titti Giuliani Foti

"Da piccolo sognavo solo il mare. Ho sempre amato l’acqua dove mi sentivo ancora oggi mi sento, libero. E’ il mio elemento. Per la mamma, Antonietta, era una croce vedermi entrare e mai più uscire finché all’ennesima volta che mi chiamava, dopo ore che stavo ammollo senza mettere piede fuori, tornavo da lei facendo finta di ubbidire. Ricordo le mani cotte dall’acqua e le rughine sui polpastrelli diventate solchi. Ma ero felice, ho ancora dentro quella sensazione di libertà assoluta che provo ancora oggi appena riesco a tuffarmi: come da bambino anfibio". Ghigo Renzulli, classe 1953, professione chitarrista e rocker oltre che fondatore dei mitologici Litfiba: oggi è l’unico membro stabile della formazione. La maschera dell’uomo ruvido e maledetto dietro agli accordi azzardati, a quelle corde stritolate dalle dita nascondono la dolcezza di una libertà conquistata. Ma anche il peso della vita assieme a una specie di ritrovata paura di un tipo di libertà: "In un certo senso è anche troppa – dice –. Da non saper che farne".

Renzulli a cosa corrisponde l’idea di partire con un’anima più che con un corpo?

"Al sogno della villeggiatura. Io vengo da una famiglia di Avellino, diciamo povera. Sono arrivato a Firenze che avevo sei anni: mio padre Giuseppe era nella Guardia di finanza e dopo un sacco di città e paesi, alla fine ci mandarono qui. Gli sono grato per cosa sono oggi e per come abbiamo vissuto. Non c’era lusso, lo stipendio del babbo bastava appena per pagare affitto e rate. Ma dopo un anno di scuola, io e mio fratello Roberto di sette anni più piccolo, si sperava nella vacanza al mare. E ce le facevano sudare, me lo ricordo bene".

Perché?

"La nostra villeggiatura iniziava col passare un po’ di tempo dai nonni in campagna, vicino a certi laghetti e non mi divertivo tanto. La vita di campagna era troppo lenta per me: non mi eccitava andare nell’orto a raccattare pomodori e zucchine. Le vere vacanze sono state al mare con la sensazione delle prime cotte per le ragazzine. E poi, ovviamente, c’era il gruppo di amici sulla spiaggia pronto a correre e a nuotare. Amavo il mare, un periodo ho fatto pure il bagnino, a Livorno ho preso il brevetto".

Siamo davanti a un corteo di allegre rimozioni.

"Ricordo quel periodo molto divertente: i miei fissavano allo stabilimento Bagno Moderno di Marina di Grosseto dove erano annessi una sala da concerti, e lo spazio per le danze. Ogni sera un complessino locale suonava i brani dei Beatles e la musica leggera anni ’60-’70. Ci infiltravamo in pista tra i grandi a fare i disturbatori tra i piedi di chi ballava credendo di fare cose proibite. Si rideva. Poi ogni tanto i proprietari del bagno invitavano un personaggio a esibirsi".

Ricorda qualcuno?

"Una volta chiamarono a cantare Mal dei Pimitives nel pieno del suo splendore tra il ’65 e il ’66. C’era un sacco di gente impazzita per lui: alla fine tutti lo videro, meno che io".

Gli amici di allora?

"Eravamo un gruppo da spiaggia, ci si conosceva in vacanza. Forse qualcuno l’ho rivisto negli anni, ma amicizie vere non ne sono nate. Anche perché venivano da altre città della Toscana e diventava difficile avere contatti. I cellulari non esistevano, a mala pena uno aveva il telefono in casa. Per rivederci aspettavamo senza drammi l’anno dopo".

I giochi preferiti di baby Ghigo?

"Eravamo fissati con giganteschi castelli con la sabbia. Ma a me piaceva di più costruire piste per giocare le con bilie. Mi ci impegnavo: le mie erano enormi. E guai a chi ci metteva il piede sopra, mi arrabbiavo molto. Il momento magico era lanciare le bilie con il dito e iniziare la gara. Altra mia passione è stato il flipper: appena avevo un soldino da infilare nella fessura aspettavo che la pallina lanciata fosse in cima, per poterlo sbatacchiare e malmenare finchè si bloccava andava in tilt. Era bellissimo".

Che gusto aveva la sua villeggiatura?

"Penso con una punta di benigna invidia a quell’epoca felice. Ricordo che mangiavo come un ossesso, sono sempre stato un’ottima forchetta. La mamma raccontava che già a un anno e mezzo doveva farmi un panino con la bistecca. Ma il gusto che ricordo è quello della Nutella che era uscita da poco, molto più buona di quella di oggi. Ricordo la libidine di un barattolo che mi finivo in tre cucchiaiate, mi riempiva la bocca e mi entrava dappertutto".

Chissà contenta la mamma...

"Lei era ed è – ha 91 anni – la classica mamma del sud. Accudiva i figli e andava a far la spesa. Una mamma chioccia che stava dietro ai figli e cercava di accontentarli, e mio padre che per arrontondare lo stipendio era capace di fare anche due lavori. Una donna socievole, educativa che non mi ha mai picchiato. E quando ho scelto di diventare musicista non si è opposta".

Renzulli uguale musica: come è nata l’attrazione?

"Da piccolo vivevo nel mondo Ghigo, diceva mia madre. Ma ho sempre lavorato, fin dai 14 anni: la prima chitarra acustica l’ho comprata coi miei soldi. Andavo a mettere i piattelli per chi sparava alle Cascine. L’amore per la musica me l’ha trasmesso il nonno diplomato in corno. Nel ’67 rimasi folgorato dalla prima rock band psichedelica americana. Tutto è cominciato da lì, con l’unica forma di potere che mi interessava: poter fare".

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