
Chi si ferma sogna e va oltre le sbarre la nuova vita del carcere delle Murate
A Firenze, "finire alle Murate", significava essere arrestato e andare in carcere. Dietro a questa espressione c’è una lunga storia: il complesso delle Murate, infatti, è stato il vecchio carcere fiorentino dal 1883 al 1983. Nel 1400 l’edificio era un monastero di monache di clausura. Le religiose che vi abitavano fecero murare tutte le porte per non avere contatti con l’esterno e non poter più uscire. Da qui l’origine del nome. Nell’800 divenne una caserma, poi una fabbrica di fuochi di artificio e infine, il carcere. In celle di circa 9 metri quadrati, i detenuti dormivano su tavole ricoperte di paglia con un lavandino ed un wc. Così rimase fino al 1983, quando fu chiuso e i circa 600 detenuti allora reclusi furono trasferiti nel nuovo carcere di Sollicciano. La nuova sede, fuori dalla città, acquistava un valore simbolico di allontanamento sociale. Gli spazi dell’antica prigione furono trasformati e oggi la vita è tornata a scorrere in questo luogo di clausura. La struttura principale ospita, ai piani superiori, 73 abitazioni, mentre le due piazze e il cortile dove i detenuti trascorrevano le ore d’aria, si sono riempiti di locali: un caffè letterario, una pizzeria, uffici. Al centro di tutto una fontana che, con i versi di Federico Garcia Lorca, ci invita a fermarci, a riscoprire l’essenza della vita e a sognare.