ANDREA SPINELLI
Cronaca

Cabaret, tra gioia pura e tragedia. Brachetti: "Il mio asso nella manica"

L’artista in scena al Teatro Verdi dal 29 dicembre con uno dei titoli più famosi della storia del musical "C’è solo qualche citazione di Fosse, per il resto è tutta roba nostra. Il cast? Diana Del Bufalo è fantastica".

Cabaret, tra gioia pura e tragedia. Brachetti: "Il mio asso nella manica"

Cabaret, tra gioia pura e tragedia. Brachetti: "Il mio asso nella manica"

Era il 1972 e Arturo Brachetti aveva quindici anni quando il "Cabaret" di Bob Fosse trionfò agli Oscar vincendo 8 statuette e imponendo al mondo il talento di Liza Minnelli. Ma il Fregoli torinese era poco più di un bambino quando a novembre del ’66 il musical attinto dal romanzo autobiografico dello scrittore Cristopher Ishrewood "Goodbye to Berlin" con le musiche di John Kander debuttò al Broadhurst Theatre di Broadway. Ecco perché la versione diretta assieme a Luciano Cannito (responsabile pure delle coreografie) che il trasformista più famoso al mondo propone dal 29 dicembre al 3 gennaio (ore 20,45, il 31 gennaio ore 17 e ore 21) al pubblico del Teatro Verdi di Firenze è per lui innanzitutto un viaggio nella memoria. Un tuffo fra le paillettes della Berlino weimariana incubatrice del nazismo sbirciati con l’occhio bistrato del KitKat Club e del suo gran cerimoniere, maschera brechtiana ambigua e irriverente, indossata dallo stesso Arturo per trasformarsi nel burattinaio delle storie di due coppie di innamorati - lo scrittore Clifford (Cristian Catto) e la soubrette Sally (Diana Del Bufalo), ma anche la loro attempata affittuaria Fräulein Schneider (Christine Grimandi) e il fruttivendolo ebreo (Fabio Bussotti) - ignare dell’atroce destino che le attende. Tutto con le scene di Rinaldo Rinaldi, con i sorprendenti costumi di Maria Filippi e con la direzione musicale di Giovanni Maria Lori.

Arturo, Saverio Marconi le propose il ruolo del maestro di cerimonie già trent’anni fa, nella prima delle sue tre produzioni di "Cabaret". Ma lei rispose di no.

"Ero terrorizzato dal cantare in pubblico. Tant’è che lo faccio per la prima volta. A 66 anni. La cosa mi elettrizza, seppur con una punta di rammarico per aver capito solo ora di avere un asso nella manica mai giocato. Comunque, ‘Cabaret’ era scritto il mio destino…".

Perché?

"Oltre ad aver visto il film nel ’72 come tutti, nel ’79-’80 a Parigi ebbi la ventura di condividere il camerino del Paradis Latin per due settimane con Joel Grey, il maestro di cerimonie-Premio Oscar del film che lavorava lì ad una trasmissione televisiva e che io, ogni sera, omaggiavo in scena cantando proprio ‘Willkommen’ alla fine del mio numero. Ma nell’83, a Londra, ho avuto modo d’incontrare pure Bob Fosse, che venne nei camerini del Piccadilly Theater a complimentarsi per lo spettacolo ‘Y’".

Il suo ‘Cabaret’ rimane in bilico per tutto il tempo tra brio e tragedia.

"L’ho concepito come un ‘rollercoaster ‘emotivo, che inizia con me nudo, perduto in un’orgia da cui mi riprendo infilandomi il frac in 2 secondi, e finisce con Berlino che brucia mentre io, nuovamente nudo, di spalle, muoio tra le macerie. Insomma, un musical che passa da momenti di gioia sfrenata ad altri decisamente drammatici"

S’è rifatto ad Harold Prince e Ron Field, rispettivamente regista e coreografo della prima versione teatrale?

"No. Nello spettacolo c’è solo qualche citazione di Fosse. Per il resto è tutta roba nostra. Il cast è straordinario. Diana De Bufalo canta da dio e fa la svampita proprio come la Sally Bowles descritta da Christopher Isherwood nel romanzo da cui sono stati tratti nel ’67 il musical e nel ’72 il film con Liza Minnelli”.

Cos’altro ha in agenda?

"A febbraio riprendo ‘Solo: The legend of quick change’, con repliche pure all’estero. Avere delle nuove avventure, delle nuove sfide, non ti fa invecchiare”.