
Daniela Mancini. Foto Gianni Nucci/Fotocronache Germogli
Empoli, 18 febbraio 2016 - Sarà perché la figura del dirigente scolastico, per definizione, è scomoda. Antipatica. Basta poco per venire etichettati come la signorina Rottermeier di turno, come la direttrice di Giamburrasca, o come un burocrate senza cuore. Sarà per questo che Daniela Mancini, raccontandoci il suo primo libro preferisce non dare troppa importanza al ruolo che ricopre da 15 anni al Ferraris-Brunelleschi di Empoli. E in vista della presentazione (il 25 al Cenacolo degli Agostiniani) con l’ironia che la contraddistingue si augura che «l’opera venga apprezzata, nonostante a scriverla sia stata una preside».
Gli ingredienti per smuovere gli animi degli studenti ci sono tutti. Ne «La tua storia nella mia - L’Italia vista dalla sua scuola» la storia di vita della Mancini si intreccia a 50 anni di storia italiana, raccontata con gli occhi di bambina prima, di studentessa poi e ripercorsa con la consapevolezza di chi ha intrapreso una lunga carriera nel mondo dell’insegnamento. «Non è un libro di scuola - tiene a puntualizzare l’autrice - Il progetto è nato dalle vecchie storie della nonna che ho conservato a lungo nella memoria. Rievocare l’infanzia mi ha permesso di riscoprire le nostre radici. Quella che racconto è una storia comune, una guida alla memoria che ci restituisce il ricordo di un mondo finito».
E’ il mondo contadino, dei campi e delle veglie di Lazzeretto. Dalle maestre di paese, il viaggio porta alla scuola di Renzi, passando per gli anni di piombo e la strage dell’Italicus (in cui è stata coinvolta come figlia dell’aiuto macchinista). Un percorso di crescita che è anche l’occasione per analizzare la scuola, com’è cambiata... «Si parlava prima di luoghi dell’apprendimento inadatti, ostili, e se ne parla ancora. Da liceale empolese cambiavo spesso aula passando da un edificio di fortuna all’altro. Questo problema Empoli ce l’ha sempre avuto. Sembra che la nostra realtà sia rimasta immutata». Tra i fatti di cronaca più recenti, affronta anche l’incendio al prefabbricato di via Sanzio. Come ha vissuto il fatto che alcuni dei suoi studenti siano stati indagati? «E’ stato doloroso, la testimonianza di un fallimento educativo. Ci sono sempre ragazzi che vivono ai margini e con cui noi ci sforziamo di dare il meglio, ma in questa sfida la scuola non può essere lasciata sola». Dal 2001 è alla guida del Ferraris- Brunelleschi. Nel libro riporta una conversazione con Matteo Gorelli poco prima dei tragici fatti di Pasquetta. Quello scambio di battute le ha risuonato in testa negli anni? «Eccome no. C’è una sorta di senso di colpa, di rimpianto. Chissà se ci fossimo accorti prima, se lo avessimo costretto prima ad andare dallo psicologo della scuola. Aveva partecipato ad una sola seduta, si era aperto. Forse non abbiamo fatto abbastanza. Se avessimo intrapreso un percorso terapeutico prima, sarebbe arrivato dove è arrivato?». Quanto è stato complesso in questi anni il faccia a faccia coi ragazzi difficili? «Se li prendi per il verso giusto e non dai per scontato che non siano in grado di imparare, si accendono tante lampadine. E alla fine tutta la stanza viene illuminata. Non c’è solo buio nella loro testa, la luce va cercata e quando la trovi illumina anche te». Dopo 15 anni di presidenza è affezionata al suo istituto… «L’ho scelto e l’ho voluto, non mi è capitato. E’ questo il tipo di istruzione su cui mi sento più utile. Le difficoltà ci sono state ma non mi pento di niente».