di Carlo Baroni
EMPOLI
Annamaria Frustaci, magistrato del pool antimafia creato a Catanzaro dal procuratore Nicola Gratteri, ha scritto il libro ’La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia’. Una storia in parte autobiografica di una giovane donna diventata magistrato nel 2010 dopo la laurea in giurisprudenza a Pisa. Ieri la dottoressa Frustaci - da due anni vive sotto protezione – ha presentato il libro al PalaExpo davanti ad otre venti classi delle scuole secondarie di primo grado. L’iniziativa, organizzata in collaborazione con la casa editrice Mondadori ha chiuso il cartellone di ’Battiti - Difendiamo la legalità’, progetto del Comune per promuovere tra i giovani la cultura della legalità. "Il tema delle mafie si può affrontare a qualsiasi età, prima lo si affronta e più efficacemente lo si combatte – ha detto Frustaci – Ci sono invece pochi libri, rivolti a bambini e ragazzi".
Dottoressa lei, ai ragazzi, ha detto "la ’ndrangheta non si eredita". Ma perché le mafie continuano a proliferare?
"Vivono sui bisogni della gente, laddove anche le istituzioni funzionano di meno. Esercitano un potere attrattivo notevole dove c’è necessità forte di lavoro e denaro. Poi c’è anche una narrazione che, in qualche modo, carica le mafie di appeal: pensiamo alle fiction in tv e alla forza penetrante che possono avere soprattutto sui giovani: l’immagine del mafioso con il suo potere e lo stile di vita agiato".
Lei ha detto che da ragazzina sognava di fare la scrittrice o la giornalista. Poi però è diventata un magistrato. Perché?
"Poi è successo che a scuola, un giorno, venne il magistrato Gherardo Colombo a presentare il libro “Il vizio della memoria“: erano i giorni di Mani Pulite, Colombo si stava occupando anche delle stragi. Rimasi affascinata e fu un primissimo passo nel mondo del diritto, a me sconosciuto. Scelsi di inscrivermi a giurisprudenza, ottima facoltà anche per diventare giornalista. Alla fine il diritto è stata la mia vita".
Le mafie sparano meno, ma ci sono ancora, sanno adeguarsi ai cambiamenti sociali. Che scenario abbiamo davanti oggi?
"Ce lo dicono loro, in una intercettazione: “bisogna mettersi giacca e cravatta“. Infatti chi si aspetta le bombe per il pizzo è sulla strada sbagliata. Specialmente dopo il Covid e il conseguente indebolimento della banche, l’arma della mafie è il denaro, provento di operazioni illecite, come ad esempio il narcotraffico, per infiltrare l’economia legale. La vera forza delle mafie è fuori dalle mafie: il mondo professionale a cui si rivolge per amministrare i flussi di denaro che non avrebbero le capacità di manovrare da sole. In sostanza quelli che tecnicamente chiamiamo i concorrenti esterni. Ecco perché è fondamentale che non venga abolito il concorso esterno in associazione mafiosa".
L’arresto di Matteo Messina Denaro. Abbiamo preso un vero boss o un uomo finito che si è fatto arrestare?
"Anche il video della cattura ci mostra che lui cercò di allontanarsi quanto capì che intorno si muoveva qualcosa di sospetto quel giorno. No, non si è consegnato. Chiaramente anche lui forse sapeva, da tempo, che grazie all’arresto di mafiosi di spicco, nel suo sistema di protezione si stavano aprendo delle falle. Abbiamo catturato un uomo d’onore vero, un simbolo dei giorni più drammatici vissuti dal nostro Paese. Chiaramente è legittimo anche chiedersi perché ci sono voluti trent’anni e anche cosa non ha funzionato".