Cadaveri nelle valigie, chi ha tradito chi? E Dorina denunciò: "Picchiata da mio fratello"

Firenze, l’ombra di una faida familiare dietro al duplice omicidio e al macabro ritrovamento nei campi intorno al carcere di Sollicciano

Dorina Pasho dopo l'interrogatorio dai carabinieri (New Press Photo)

Dorina Pasho dopo l'interrogatorio dai carabinieri (New Press Photo)

Firenze, 17 dicembre 2020 - Ci sono parole, e personaggi, che definiscono un evento, che fanno da copertina, o da accompagnamento, a tutta una storia. Ché poi la storia si scolora e diventa essa stessa una cornice di quella parola. O dell’uomo che ne è il personaggio principale. Attorno ai cadaveri ritrovati nelle valigie abbandonate nel campo all’ombra del carcere di Sollicciano, la parola sussurata dagli inquirenti è “besa”, fiducia in albanese, e il personaggio che si muove ovunque, sullo sfondo di questa sceneggiatura da horror di periferia, è Taulant Pasho, il figlio delle due vittime, fratello di Dorina e Viktoria.

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“Besa”, dunque. “Besa” vuol dire sì fiducia, ma è molto, molto di più. E’ un codice d’onore, forse il più antico e alto dell’intera Albania. E’ un patto di sangue, un contratto indissolubile che si scioglie solo con la morte. Durante il processo di reclutamento, un membro che vuole entrare nella mafia albanese è tenuto a prestare giuramento, un giuramento che viene considerato sacro perché definito, appunto, come un ’besë’. Quando si dà a qualcuno il proprio ’besë’, si dà in senso non teorico, ma letterale, la propria vita. Col “besë” si giura fedeltà all’organizzazione a costo della vita, ma anche di quella dei propri familiari.

E, quindi, qui sale in scena Taulant Pasho. Non sappiamo se sia affiliato a quella che l’Antimafia considera come l’erede naturale della ’ndrangheta e l’organizzazione straniera tra le più pericolose sul territorio italiano, ma è un dato oggettivo che per Taulant, al carcere di Sollicciano, avessero praticamente messo la porta girevole. Entrava e usciva da lì, e sempre con la solita accusa: spaccio. E la mafia albanese, si sa, ’brilla’, si fa per dire, per tre cose: la violenza, il traffico di droga e la gestione della prostituzione. Taulant, lo dicono le carte, si era specializzato nella seconda. Ma anche sulla prima non scherzava affatto se è vero, come è vero, quello di cui il sostituto procuratore Ornella Galeotti ha chiesto conto ieri alla sorella Dorina.

Rewind, passo indietro. Andiamo alla prima metà del 2015. Shpetim e Teuta Pasho, i genitori di Dorina, Viktoria e Taulant, sono vivi e vegeti e fanno la spola fra l’Albania e la Toscana, dove vivono i figli. Un giorno Dorina si presenta ai carabinieri di Castelfiorentino per raccontare una storia: "Mio fratello mi ha picchiato".

E lo scenario che emerge è questo: Taulant avrebbe aggredito la sorella perché colpevole di frequentare un uomo sposato. E non va bene, ma proprio no, in ambienti profondamente legati all’onore e alla famiglia, con rapporti di sangue e matrimonio molto importanti. Perché la struttura familiare è caratterizzata da una forte disciplina interna, che si ottiene mediante azioni punitive per ogni deviazione dalle regole interne. E frequentare un uomo sposato è una deviazione. Che merita una punizione. ’Besa’, appunto.

Da qui in poi, la nebbia delle ipotesi cala. Però bisogna capire che peso abbia, su quelle valigie abbandonate piene di pezzi di corpi smembrati, il fatto che, poco dopo aver picchiato la sorella, Taulant Pasho accoltelli un altro albanese, di un’altra famiglia. O vogliamo usare il termine clan? Le domande si susseguono una dopo l’altra, come grani di un rosario. Taulant ha accoltellato l’uomo sbagliato? Ed è stato forse punito per questo? Che ruolo hanno Taulant, Dorina e Viktoria sul palcoscenico di questa orribile storia? Di moventi, per la morte dei poveri Shpetim e Teuta, ce ne sono a pacchi. La droga, la vendetta, il denaro. ’Besa’. Si torna lì. Perché qualcuno ha tradito, questo è sicuro. Ma chi? E perché?