Firenze, 13 settembre 2020 - Dunque ci siamo: domenica si vota, mentre sfuma l’estate della pandemia. Di sondaggi, di brividi (pochi in effetti), di disfide elettorali abbiamo parlato a lungo, nel corso di una campagna inevitabilmente timida. Ma a questo punto può diventare utile chiedersi che cosa sappiamo e che cosa non sappiamo di ciò che accadrà dopo il 21 settembre. Non sappiamo, ovviamente, chi vincerà. E qui i sondaggi non ci aiutano, perché abbiamo visto quanto siano ancora incerti. Non sappiamo neppure se reggerà o meno il governo, per quanto molti leader nazionali (da Di Maio a Zingaretti) si siano affannati negli ultimi giorni a rassicurare sulla sua tenuta, cappotto o non cappotto sette-a-zero di Salvini, come da lui stesso vaticinato.
Sappiamo però una cosa: che tanto il centrosinistra quanto il centrodestra godono di una salute sempre più incerta, a livello nazionale e anche locale. Il termine di paragone è quello dell’ultima chiamata al voto: era il 26 gennaio 2020, una domenica.
Di lì a pochissimo sarebbero arrivati la pandemia del secolo, poi un lockdown e quindi la crisi planetaria che ne sta seguendo. Tutto, insomma, è cambiato da quel 26 gennaio in cui in Emilia vincevano trionfalmente – seppure all’ultimo tuffo – Stefano Bonaccini e il centrosinistra. Tutto è cambiato, fuorché proprio il centrosinistra.
Oggi in Toscana, alla vigilia di un voto diventato cruciale, i timori e le ansie che fanno dormire poco e male i Dem del granducato sono gli stessi che nell’inverno passato logoravano i cugini di là dall’Appennino. Si diceva allora: l’Emilia è l’Ohio del Governo giallorosso. E anche: l’Emilia è per la prima volta contendibile.
Si dicono oggi le stesse cose della Toscana. Morale: il centrosinistra, che attraversa un’evidente crisi di identità e valori, non è riuscito in questi mesi a fare un salto di qualità per cambiare passo. Le colpe non sono certo dei singoli uomini, dei singoli leader. Sono ormai sistemiche, e ignorarle ancora significa procrastinare un problema che non si risolverà da solo, anche in caso di vittoria in Toscana. Morale per il centrodestra: rispetto ai tempi emiliani ha cambiato in questa campagna elettorale toni e umori (niente citofonate, niente gazzarra). Ma ha mostrato di non riuscire a superare una sorta di peccato originale, ovvero la presenza massiccia dei leader nazionali sui territori, tanto di Matteo Salvini quanto di Giorgia Meloni: se da un lato capitalizzano consenso, dall’altro mettono in luce la debolezza di una classe dirigente che nei territori tradizionalmente rossi fatica a farsi strada, a trovare una voce. Questo, dunque, sappiamo già oggi. E non è il risultato del voto, ma forse pesa di più.