Senza l’Europa ci tocca fare le riforme vere

La Bce e il crollo della Borsa

Agnese Pini, direttrice de La Nazione

Agnese Pini, direttrice de La Nazione

Firenze, 12 giugno 2022 - Potevamo prevederlo. Una pandemia, una guerra, una crisi energetica (innescata dalla prima e accelerata dalla seconda), e infine il crollo delle Borse. Intanto i prezzi sono alle stelle, lo spread (una parola che avevamo imparato a dimenticare) torna vertiginosamente a salire, e la super crescita che doveva farci volare dopo il Covid si è nettamente ridimensionata, anche se siamo lontani dal parlare di recessione.

Potevamo prevederlo, dicevo. Di sicuro, venerdì pomeriggio abbiamo capito con chiarezza una cosa: è finita l’era del whatever it takes. Era il 26 luglio 2012, la crisi della moneta unica stava stritolando l’Europa e mandando a picco l’Italia.

L’esortazione di Mario Draghi, all’epoca governatore della Bce, whatever it takes, fu indispensabile a salvarci dal tracollo: la Bce si impegnò a comprare i titoli di Stato dei Paesi indebitati come il nostro, tirandoci fuori dalla rovinosa tempesta dei mercati. Ebbene, venerdì Christine Lagarde ha ratificato lo stop a questa misura, che tra plausi e polemiche aveva scandito un capitolo difficilissimo della nostra storia recente.

Con conseguenze anche sul piano politico. È stato infatti, questo, il decennio che ha alimentato la diffidenza nell’Unione, nutrito populismi e sovranismi, solleticato defezioni clamorose al progetto europeo, come la Brexit. Ci sono voluti una pandemia prima e il Pnrr poi a far dimenticare alla fetta più critica dell’opinione pubblica, almeno per una parentesi di relativa tregua, il mito dell’Europa crudele e matrigna.

Una parentesi, appunto. Perché lo stop di Lagarde era di certo noto, annunciato da sei mesi, ma arriva comunque in un momento estremamente delicato e critico, anche e soprattutto per il nostro Paese. Così immediatamente è tornato a soffiare il vento dell’anti europeismo, che ha rianimato i partiti di casa nostra, avviticchiati sulle polemiche pseudo pacifiste e su un voto amministrativo e referendario, quello di oggi, con più ombre che luci per quasi tutti i leader.

Per dire: lunedì - a urne calde e col rischio di un flop al referendum sulla giustizia promosso da Radicali e Lega - Matteo Salvini ha convocato il suo stato maggiore. Tema: l’Italia vittima delle banche e dell’Europa. Chi dà letture malevole fa intendere che il Capitano voglia togliere l’attenzione dal suo principale timore: il sorpasso di Giorgia Meloni nelle roccaforti leghiste del Nord. In realtà, una cosa è certa: senza l’ombrello della Bce la situazione per l’Italia si fa rischiosa. Perché finiscono gli automatismi (oggettivamente non più sostenibili) con cui Francoforte ha coperto fino ad oggi le nostre mai risolte debolezze. Come ne usciremo? La finanza è solo una parte del problema. Draghi deve perseverare nel suo piano di riforme vere, che tengano conto dei mercati, dei prezzi, dell’industria, dello sviluppo, dell’energia. Whatever it takes, dieci anni dopo. Costi quel che costi.