La paura del virus. Nelle ore tragiche vivete con calma

L'editoriale della direttrice

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 2 febbraio 2020 - Ieri sono andata a ricercare, nell’incredibile e sterminato archivio del nostro giornale, la prima pagina che La Nazione fece il 6 novembre 1966, due giorni dopo la grande alluvione a Firenze: si contavano già 20 morti, (cito testualmente dal pezzo), decine di feriti, migliaia di negozi rovinati, centinaia di auto travolte, un mare di fango nei rioni, 83 detenuti evasi, scarsità d’acqua e viveri. Quella mattina, La Nazione apriva così: «Firenze devastata dall’Arno vive con calma ore tragiche». Proprio questo titolo è stato citato ieri da Matteo Renzi durante l’assemblea di Italia Viva, e ascoltando le sue parole mi sono chiesta se oggi avremmo mai fatto, o anche solo ipotizzato, un titolo del genere – vive con calma ore tragiche – più da istituzione che da giornale.

Un titolo che raccontava i fatti ma conteneva anche un messaggio: niente panico, niente psicosi, niente allarmismo. Andiamo avanti insieme, facciamo le cose insieme e facciamole perbene. L’ho trovato bello, un titolo bello: per il giornale e per la città. Per il modo, soprattutto, con cui si può fare informazione e per il senso di responsabilità che i miei colleghi dell’epoca dovevano sentire nei confronti dei loro lettori davanti a una tragedia immane come fu l’alluvione del ’66.

Ecco: senso di responsabilità. È questo che distingue i giornali veri dai siti di news improvvisati e dai contenitori di bufale. Ieri era il primo sabato in cui Firenze si è svegliata con la paura da coronavirus. Il primo sabato dopo il passaggio della coppia malata che è poi stata ricoverata allo Spallanzani di Roma: li chiamano «pazienti zero».

Così sono andata a farmi un giro per il centro, provando a ripercorrere gli stessi luoghi attraversati dai «pazienti zero», dalla stazione all’hotel in cui hanno soggiornato, fino alle vie dei negozi del lusso e dei grandi musei – piazza della Signoria, poi gli Uffizi e l’Accademia, inevitabilmente Pitti – per vedere se qualcosa fosse diverso dal solito: se davvero si percepisse un cambiamento nelle abitudini e nei comportamenti in questo clima d’ansia da contagio collettivo che serpeggia nei negozi, nelle scuole, nelle corsie degli ospedali. Già: si respira male in giro, e non solo per via delle mascherine che sono esaurite in mezza provincia toscana. Prima di uscire ho telefonato a Chen, una ragazza cinese che di mestiere fa la guida turistica a comitive cinesi, le ho chiesto se voleva accompagnarmi, e come andassero le cose.

«Non lavoro da tre giorni», mi ha detto. «Tutti spariti»: i cinesi, s’intende. E in effetti Firenze è diversa dal solito, e non solo per via della pioggia fina e fredda, del cielo cupo che male invoglia a camminare con gli occhi levati in su, alle meraviglie della città. La folla canonica non c’è, l’invasione orientale dei finesettimana pare estinta. «Hanno tutti annullato», conferma Chen: le comitive, le famiglie, le coppie in viaggio di nozze. Col blocco aereo sarà uno spopolamento di gite organizzate, e non ci riconosceremo più, forse. Chen stessa non esce volentieri. Perché la psicosi è un virus peggiore del coronavirus, trascende la doverosa prudenza, diventa in un battibaleno oscena diffidenza per non dire razzismo. Come ha mostrato bene quello sciocco che ieri l’altro ha apostrofato con insulti e bestemmie una comitiva di orientali, poi non pago della sua prodezza ha filmato tutto e postato tutto sui social.

Un teatrino degradante a due passi dal Ponte Vecchio. O ancora quelli che non mangiano più cinese, che non si siedono accanto a un cinese sul bus, che non mandano a scuola il bambino se ha in classe un compagno cinese, che si scostano se passa un cinese. Che poi poco importa se sia proprio cinese: basta abbia gli occhi all’orientale e i capelli scuri. A Firenze in via Tornabuoni, quella delle boutique, i commessi del lusso vendono borse e gioielli e stivali pitonati con le mascherine sul viso.

A Santa Maria Novella due ragazze toscanissime girano coi bavagli davanti alla bocca e la pancia scoperta, col rischio di buscarsi forse non il coronavirus ma certo la più classica polmonite. Nelle ore tragiche – e queste ore incerte indubbiamente lo sono – bisogna «vivere con calma». Come titolava la Nazione di cinquantaquattro anni fa. E noi oggi, giornale del 2020, dobbiamo fare la stessa cosa. Dobbiamo togliere di mezzo gli allarmismi e ribadire le certezze, almeno le poche che abbiamo: scansare un orientale non ci renderà meno vulnerabili. Ma solo molto più stupidi.

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