La sentenza Ranza ha un valore politico

Il tribunale di Siena ha condannato per tortura, falso e minaccia aggravata cinque agenti di polizia penitenziaria del carcere di Ranza, a San Gimignano

Pecore Elettriche

Pecore Elettriche

Firenze, 12 marzo 2023 - Il carcere è un luogo endemicamente violento. La sua violenza è psicologica e fisica, come dimostrano a chi ancora fa finta di niente le indagini e i processi per tortura che riguardano le prigioni italiane. "La violenza in carcere c’è, ma per fortuna oggi le procure la guardano", mi ha detto una volta il filosofo del diritto Emilio Santoro. Giovedì scorso il tribunale di Siena ha condannato per tortura, falso e minaccia aggravata cinque agenti di polizia penitenziaria del carcere di Ranza, a San Gimignano, con pene molto alte - da 5 anni e 10 mesi fino a 6 anni e 6 mesi - e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Dopo la condanna, alcuni di loro sono scoppiati a piangere. Altri dieci agenti erano stati condannati nel febbraio 2021 con rito abbreviato. Secondo l’accusa, gli agenti sarebbero responsabili del pestaggio di un detenuto tunisino nell’ottobre 2018, avvenuto durante un trasferimento di cella.

"Tra guardie e ladri io sto sempre dalla parte delle guardie", parola di Matteo Salvini nel 2019, quando era ministro dell’Interno, secondo cui gli agenti erano stati condannati ancor prima del processo: "Gli uomini e le donne in divisa di polizia penitenziaria non meritano di esser trattati come delinquenti, assassini o torturatori". Il processo però adesso c’è stato, a ricordarci quanto è dura e amara la giustizia penale. "Tra guardie e ladri io sto sempre dalla parte dello Stato", ha detto Sofia Ciuffoletti, direttrice dell’Altro diritto, garante dei diritti delle persone private di libertà personale (che lunedì mattina sarà ospite del podcast "Le Pecore Elettriche").

"Ricorreremo in appello" ha detto l’avvocato Manfredi Biotti, difensore di quattro dei cinque imputati. L’innocenza è garantita fino al terzo grado di giudizio, il che però non ci impedisce di ragionare sugli eventi e le vicende giudiziarie. Non ci impedisce nemmeno di fare qualche valutazione su chi in questi anni, al governo, niente ha fatto per cercare di conoscere la verità sui fatti del carcere di Ranza. Nel 2021, per dare un segnale preciso, c’era voluta Marta Cartabia, che aveva fatto costituire parte civile al processo il ministero della Giustizia, tramite l’avvocatura di Stato. Qualche mese prima, invece, il ministero della Giustizia (guidato da Alfonso Bonafede), aveva presentato l’atto di costituzione, all’interno del procedimento per i reati contestati agli agenti, contro L’Altro diritto, che si era costituita parte civile (il ministero ne aveva chiesto l’esclusione dal procedimento). A Bonafede evidentemente l’accertamento dei fatti pareva poco importante. Avrebbe potuto infatti costituirsi direttamente lui parte civile in quanto persona offesa, visto che gli agenti di polizia penitenziaria sono dipendenti del suo ministero, ma scelse di non farlo. "In uno stato di diritto - ha commentato in questi anni Sofia Ciuffoletti - questa vicenda dovrebbe esorcizzare la paura; dovrebbe, insomma, rassicurare tutte e tutti noi che viviamo a vario titolo in questo paese, che lo Stato, con i propri agenti e funzionari, è, può essere, responsabile delle proprie azioni".

[email protected]