"Per i ristoratori questa è una falsa ripartenza Serve aprire in sicurezza e non chiudere più"

La responsabile tesseramento di ‘Tutela Nazionale Imprese’, Alessia Brescia, punta il dito contro il coprifuoco e le altre restrizioni "Stiamo lavorando per garantire agli operatori quelle tutele finora negate. Ci sono numerosi temi da discutere ai tavoli istituzionali"

Migration

Dopo quattordici mesi di chiusura il mondo della ristorazione ha cominciato a riaprire, ma non è ancora ripartenza. Secondo un sondaggio realizzato tra gli imprenditori iscritti a Tni Italia, circa il 50 per cento dei ristoratori non ha riaperto lo scorso 26 aprile: o perché il suo locale non dispone di spazi all’aperto o perché dotato di così pochi tavolini che non è in grado di coprire le spese di apertura. Altri fattori che frenano la ripartenza sono il maltempo e il freddo, che in alcune zone collinari o montuose non consentono l’apertura serale, e il coprifuoco, anche se forse da metà maggio potrebbe essere previsto uno slittamento dalle 22 alle 23 o oltre. Alessia Brescia è la responsabile del tesseramento di Tni Italia, associazione che riunisce in tutta la nazione migliaia di imprese del mondo della ristorazione.

Definite le riaperture una falsa ripartenza, perché?

"Ci sono ancora troppe limitazioni. Non si possono accogliere i clienti all’interno, nemmeno nel caso in cui faccia freddo o piova, c’è ancora il coprifuoco, le zone turistiche soffrono, perché si vedono un po’ di persone solo durante il fine settimana. In pratica si lavora la metà, anche rispetto allo scorso anno, quando queste limitazioni non c’erano".

Cosa serve per la vera ripartenza del vostro settore?

"Prima di tutto basta con i colori. Un ristoratore non può far ripartire il locale, con tutte le spese che deve sostenere, per poi magari ricadere nel baratro dell’arancione, dove si lavora solo con l’asporto o la consegna a domicilio. Tanto più senza aver avuto il benché minimo indennizzo. Se oggi siamo in ginocchio, nelle regioni dove si dovesse tornare da gialli ad arancioni, finiremmo sdraiati in terra, morti. Per tanti di noi sarebbe la fine. Bisogna aprire in sicurezza e non chiudere più. Solo così possiamo salvare le imprese e i posti di lavoro".

State lavorando per lanciare un sindacato del mondo Horeca. Con quali obiettivi?

"Stiamo lavorando a qualcosa che non è mai esistito fino ad oggi: un sindacato formato da lavoratori che hanno unico obiettivo, tutelare la categoria. Perché solo chi fa parte di questo mondo, il pizzaiolo, il barista, il ristoratore, conosce il nostro lavoro e quindi può tutelarlo. Vogliamo creare una grande squadra, o una grande famiglia, come ci piace definirla, che lotti e lavori con il massimo impegno per difendere i diritti che abbiamo e quelli che ancora dobbiamo conquistare".

Per esempio?

"Se un ristoratore si ammala, chiude il locale e non ha nessun indennizzo. Invece sarebbe importante avere una sorta di rimborso che vada a coprire tutti i giorni o mesi di chiusura per malattia. Questo è solo un esempio. Ci sono tante questioni irrisolte, tanti temi che non sono mai stati affrontati in passato, anche prima dello scoppio della pandemia e noi, uniti, vorremmo discuterne ai tavoli istituzionali, con l’obiettivo do tutelare un mondo che troppo spesso è stato abbandonato dalle associazioni di categoria, che invece, avrebbero dovuto rappresentarlo. L’unione fa la forza, come si dice, e noi, uniti, saremo forti".

R.S.