La guerra dei trent’anni sul Monte dei Paschi. Quando Siena disse no al Governo

Dai fasti del passato alle difficoltà attuali, la parabola della banca con 550 anni di storia. Nel 1 992 inizia il braccio di ferro

I vertici Mps Paschi Grottanelli de’ Santi e Divo Gronchi

I vertici Mps Paschi Grottanelli de’ Santi e Divo Gronchi

All’ombra di Rocca Salimbeni, sede storica del Monte dei Paschi di Siena, si combatte una strana guerra che dura da trent’anni. Oggi inizia il racconto di questi decenni che hanno sconvolto la banca più antica del mondo, che hanno rivoluzionato un istituto di credito con 550 anni di storia, che hanno portato una città di provincia, con meno di 55mila abitanti, a diventare capitale finanziaria d’Italia per poi precipitare nel gorgo di una crisi che ha bruciato almeno 25 miliardi di euro di capitale, stando solo agli aumenti decisi nell’ultimo decennio. La cronaca regala spunti quotidiani sulla vicenda Monte dei Paschi, sulla necessità del Governo, che 4 anni e mezzo fa ricapitalizzò la banca evitando un crac disastroso, e che ora dovrebbe vendere la quota di maggioranza, acquisita con l’immissione di 5,4 miliardi di denaro pubblico. Ma ogni fatto di cronaca ha ragioni storiche, è generato da eventi precedenti, da decisioni passate, da scelte compiute in un determinato periodo, ignari delle conseguenze che avrebbero generato negli anni successivi. Un viaggio scandito per periodi di cinque anni, un lustro che parte dal 1992, la stagione del big bang, della trasformazione in società per azioni delle banche di diritto pubblico.

Siena, 3 novembre 2021 - Prima del 1992 il Monte dei Paschi di Siena era una ricchissima banca di provincia, una cassaforte del credito periferica, ma non lontana dai giochi della politica sulla finanza. La riforma del 1936 elesse sei istituti di credito di diritto pubblico: Monte dei Paschi, San Paolo di Torino, Banca Nazionale del Lavoro, Banco di Sicilia, Banco di Napoli, Banco di Sardegna. Non erano le banche più ricche, almeno non tutte. Erano quelle più legate ai territori di appartenenza. La chiamarono ’la foresta pietrificata’, alberi fossili mentre il resto del mondo del credito evolveva velocemente con la nascita di colossi dalla Spagna agli Stati Uniti, dalla Francia alla Germania. Poi arrivò il 1992, la legge Amato, solo dopo con il trattino Ciampi, e la trasformazione in società per azioni, con conseguente, ma solo presunta, privatizzazione, divenne un obbligo.

Siena reagì come sua natura contro la trasformazione forzata, anche se indotta da incentivi fiscali che avrebbero reso più ricca la banca. Il Comune, con il sindaco Pierluigi Piccini, affidò all’autorevole giurista Pietro Rescigno un parere contro la privatizzazione che fu molto duro. Il Monte dei Paschi era "un’istituzione della città di Siena, a cui deve la sua origine, e perciò il Comune ne ha la soprintendenza, direzione e tutela e la amministra attraverso un consiglio elettivo". La trasformazione sarebbe stata "uno spossessamento del Comune da parte del Governo". E molti a Siena videro la spa come "un sopruso". Anche la Provincia di Siena rivendicò la proprietà del Monte e affidò a Gustavo Minervini e Franco Belli un altro parere, più aperturista di quello del Comune.

Non fu facile per la deputazione amministratrice del Monte dei Paschi, presieduta da Giovanni Grottanelli de’ Santi, arrivare a votare la trasformazione. Ci fu anche un blitz sulle nomine varato dal sindaco Piccini, che confermò tre dei quattro deputati di nomina comunale (compreso l’ex sindaco Vittorio Mazzoni della Stella), estromettendo solo Alberto Bruschini, più orientato verso la spa e scegliendo al suo posto Carlo Turchi, sindaco revisore. Fu una stagione di veleni e ricorsi al Tar, qualche mese dopo quelle nomine furono bocciate dal tribunale amministrativo e scattò un’inchiesta per presunte tangenti, scaturita proprio da quel clima tossico e radioattivo che si respirava in città. Furono arrestati Alberto Brandani e Alberto Bruschini, due degli otto deputati del Monte, e fu perquisito anche il potente provveditore Carlo Zini. Che lasciò l’incarico per far posto a Vincenzo Pennarola, l’uomo che avrebbe dovuto mediare tra banca e Comune, tra favorevoli alla spa e tenacemente contrari.

Lo scontro durò dal 1993 al 1995, fino a quell’8 agosto data del decreto del ministro del Tesoro sulla trasformazione in spa della Banca Monte dei Paschi di Siena. Nasceva la Fondazione Monte dei Paschi, proprietaria del 100 per cento delle azioni della banca. Il valore, solo ipotetico, era vicino ai 9mila miliardi di lire, ma la Fondazione ebbe in dote anche un cospicuo patrimonio immobiliare, tra cui Palazzo Sansedoni e altri palazzi nobiliari non solo a Siena, oltre a partecipazioni azionarie molto ricche. In seguito, dopo la quotazione in Borsa del titolo Banca Mps, nel giugno del 1999, la Fondazione era la seconda più ricca d’Europa, con un patrimonio complessivo di 16mila miliardi di lire, tra azioni della banca (il 72% ancora nelle sue mani) e gli altri beni. Il passo storico era stato fatto, il Monte era diventato una banca privata. Solo a parole però, perché in pratica non lo è mai stato in 550 anni di vita.

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