Tumore al seno, scoperta un'arma a doppio taglio

C’è anche l’università di Perugia nella ricerca internazionale guidata da Ifom

Screening al seno (foto Ansa)

Screening al seno (foto Ansa)

Perugia, 12 gennaio 2023 - Un'arma a doppio taglio, che rende le cellule tumorali invisibili al sistema immunitario ma che potrebbe essere rivoltata contro il tumore stesso, è stata scoperta in una tipologia particolare di cancro al seno. La chiave sta nella capacità di queste cellule di diventare 'fluide’, e quindi più invasive, ma che allo stesso tempo le potrebbe rendere più suscettibili alle terapie.I ricercatori hanno scoperto che alla base dell’invasività metastatica del carcinoma intraduttale mammario c’è il trasformismo materico delle cellule tumorali, che sono in grado di passare dallo stato solido a quello liquido, agevolando la motilità nell’organismo. La medesima transizione tuttavia, sottolineano gli scienziati, ha il potenziale di rendere tali cellule al tempo stesso più sensibili all'immunoterapia: da strategia di invasione potrebbe pertanto essere convertito in chiave terapeutica. La scoperta, che apre dunque la strada a nuove terapie, è di un gruppo internazionale di ricercatori guidati da Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare (Ifom) e Università di Milano, con il sostegno di Fondazione Airc ed il contributo delle università di Palermo e Perugia, di Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Policlinico San Matteo di Pavia, Ospedale Cannizzaro di Catania e Policlinico Gemelli di Roma. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Materials. Il carcinoma intraduttale mammario è responsabile di circa il 20% delle diagnosi di cancro al seno."Le cellule del carcinoma intraduttale si sviluppano e proliferano all’interno dei confini del dotto della ghiandola mammaria. In questa condizione di confinamento i tessuti sani circostanti comprimono la massa tumorale e ne alterano le proprietà fisiche, favorendone l’irrigidimento e prevenendone l’espansione. “Per circa il 70% di questi tumori non sarebbe necessario alcun tipo di intervento, in quanto spesso regrediscono spontaneamente” ha spiegato Giorgio Scita dell'università di Milano, co-autore dello studio guidato da Emanuela Frittoli e Andrea Palamidessi di Ifom. “Solo il 30% circa progredisce, dando luogo a metastasi. Il problema - prosegue Giorgio Scita - è che ad oggi non ci sono strumenti per prevedere se una paziente rientrerà nel 30% o nel 70% dei casi”. Di conseguenza, tutte le pazienti a cui viene diagnosticato questo tipo di tumore sono sottoposte alla stessa terapia, subendo effetti collaterali che per la maggior parte di loro sarebbero evitabili. "I medici – prosegue Scita – non hanno a disposizione una chiave di lettura per capire come orientare le loro strategie terapeutiche in modo mirato o più semplicemente per risparmiare trattamenti non necessari. La sfida che ci siamo posti come gruppo di ricerca è stata di indagare le caratteristiche fisiche alla base delle due categorie di tumore, per cercare di indentificare criteri con cui differenziare i trattamenti e ridurre al minimo indispensabile le terapie applicate”. Adesso, i ricercatori hanno scoperto che la capacità delle cellule tumorali di passare dallo stato solido a quello liquido, più pericoloso, è segnalata dalla presenza della proteina RAB5A. Cercando dunque questa molecola nei tessuti tumorali delle pazienti, sarà quindi possibile capire chi ha bisogno di cure specifiche e chi invece può evitarle.Maurizio Costanzo