Viaggio a Prato, pochi italiani in classe. "La diversità? Un bene, ma servono più fondi"

Nella città toscana gli alunni stranieri sono mediamente il 35% per aula. I presidi: "Abbiamo bisogno di più insegnanti per migliorare l’integrazione"

Prato, 30 marzo 2024 – Era il 2015 quando all’istituto comprensivo Marco Polo di Prato si iniziò a mettere su un banco vicino alla cattedra un dizionario di italiano-cinese: un modo del tutto concreto per aiutare gli alunni a fare amicizia e ad interagire.

Oggi, quell’istituto, è un esempio di integrazione: il lavoro fatto negli ultimi dieci anni è stato immenso ed è iniziato con la formazione dei docenti che hanno l’onere e l’onore di insegnare in classi con oltre il 70% di alunni stranieri.

L'uscita di una scuola elementare (Immagine di repertorio)
L'uscita di una scuola elementare (Immagine di repertorio)

A Prato la scuola pubblica è un’eccellenza proprio perché ormai da anni combatte per portare avanti, sullo stesso piano, tutti gli allievi. Quasi sempre, nella scuola primaria almeno, a maggioranza straniera.

Prato è la città con la più grande comunità cinese d’Europa, ma non solo. Ha un record unico: 112 etnie convivono in città. Qui la percentuale di studenti stranieri è in media del 35 %, con punte fino al 75% e classi simbolo con 18 etnie sedute nei bachi e un solo studente italiano.

Numeri che già in passato avevano fatto ottenere alla provincia la deroga al limite imposto nel 2010 dall’allora ministra Gelmini, al tetto del 30% di stranieri in classe.

"Un patrimonio da sfruttare", dice il presidente di Rispo, la rete delle scuole pratesi, Mario Battiato. "Nelle nostre scuole abbiamo una straordinaria varietà di etnie, questo rappresenta una risorsa perché dà modo ai nostri giovani di conoscere culture diverse".

Mariagrazia Ciambellotti è la dirigente dell’istituto comprensivo Marco Polo, scuola simbolo per integrazione con classi sui cui banchi siedono bambini e ragazzi provenienti da tutto il mondo. Cina, Pakistan, Bangladesh, Albania, Russia: un melting pot che convive e insegna a convivere. "I bambini non italofoni sono oltre la metà degli iscritti, la convivenza non solo è possibile, ma è richiesta", dice Ciambellotti.

Nel 2010 quando la ministra Gelmini introdusse il tetto del 30% agli stranieri nelle classi "si capì che non era possibile applicarlo – aggiunge la dirigente –. Oggi, dopo 14 anni, non è stato fatto niente. Non faccio un discorso demagogico: dico che gli studenti non italofoni sono una realtà che è possibile integrare nella comunità scolastica, ma abbiamo bisogno di più insegnanti. Basterebbero poche risorse per fare il grande lavoro che oggi portiamo avanti da soli". A Natale tutti i bambini realizzano presepi e per il capodanno cinese installano lanterne rosse.

«Invito il ministro a visitare di persona le scuole di Prato per toccare con mano cosa significa la pubblica istruzione in una città dove i bambini non sono numeri, ma persone e storie diverse", interviene il sindaco di Prato, Matteo Biffoni.

"Una città come tante altre in Italia, ma dove da anni si registra la particolarità di un importante tasso di alunni non italofoni e, soprattutto, di arrivi in corso d’anno, circa 200/250 alunni dovuti al flusso migratorio che si inseriscono nelle classi già formate. Nelle nostre scuole c’è il mondo e noi ne siamo orgogliosi, ma servono risorse e soprattutto personale per poter gestire al meglio le classi, la scuola è il primo luogo dove si crea cittadinanza".

Sezioni multietniche si gestiscono con professori laureati nella classe di concorso 023 relativa all’insegnamento della lingua italiana per alunni di lingua straniera e con più mediatori culturali necessari anche per dialogare con i genitori. Li, Willy, Edward: l’appello è un caleidoscopio di nomi. "In ogni sezione ci sono circa tre o quattro studenti italiani, non di più, la minoranza rispetto ai non italofoni – aggiunge Ciambellotti –. La gestione di una popolazione scolastica multietnica passa da un lavoro costante di formazione. Certo, ci sono anche situazioni non facili e studenti magari più chiusi. Qui abbiamo mediatori culturali, corsi di italiano per gli alunni che non parlano la nostra lingua, lavoriamo inoltre in collaborazione con l’Università di Siena con progetti unici come l’Altoparlante, che prevede un modello particolare di lezioni basato sulle lingue di ciascuno. Lezioni con la metodologia della stratificazione: ossia lo stesso argomento trattato in tre livelli di difficoltà". Perché nessuno resti indietro e tutti possano andare avanti.