C’era una volta la Lazzi, viaggio della vita

Il mito dell’azienda di trasporto toscana. Villeggiatura e pendolari: la corriera protagonista

Un'immagine delle prime corriere fiorentine

Un'immagine delle prime corriere fiorentine

Firenze, 24 agosto 2019 - C’era una Lazzi per ogni momento della vita. E si diceva Lazzi non pullman o corriera o autobus, che quello è roba da cittadini mentre la Lazzi la prendevano quelli che venivano da fuori. Ma non solo. La chiamano ancora Lazzi anche se non c’è più. Tanto per dire. E si prendeva la Lazzi quando si andava o tornava dalle vacanze a Viareggio e prima di arrivare in piazza Mazzini la corriera doveva arrampicarsi in cima al monte Quiesa, non c’era l’autostrada, c’era la strada sterrata tra gli olivi e c’erano certi precipizi da morire di paura. Poi c’era la Lazzi che portava a scuola o quella che ai tempi del liceo si prendeva la domenica mattina, quando era ancora buio, per andare a sciare all’Abetone o quella dei pendolari o quella del primo o del secondo amore, degli sguardi, dei baci furtivi, o di quelli che andavano in città a vendere le uova e i polli.

Oggi la Lazzi non c’è più ma non ci facciamo tanto caso perché non sembra tanto è vivo ancora il ricordo, e dire che di tempo ne è passato perché proprio questa estate sono cento anni dalla fondazione. La fondò un contadino-boscaiolo-commerciante ricco delle montagne pistoiesi, di Lizzano, frazione di San Marcello, il signor Vincenzo Lazzi, praticamente un genio. Vincenzo aveva un camion e dei carri per trasportare i fusti degli alberi e si accorse che spesso i paesani gli chiedevano uno strappo per arrivare a Pistoia, insomma giù, e così Vincenzo decise di usare i camion per gli alberi e le corriere per le persone. Così nacque la Lazzi, poi vi diranno che lui quel mestiere ce l’aveva nel sangue e di mezzo naturalmente c’è un blasone che risale a seicento anni fa, a tal Meo de’ Lazi, che tra Lazi e Lazzi poco ci corre, che al suo tempo trasportava uomini e merce tra Firenze e la Maremma.

Vincenzo, si buttò nell’impresa e partì con quattro autobus che fece con le sue mani e con quelle di un paio di operai. In pratica comprò alla fine della prima guerra mondiale quattro camion militari dismessi, li smontò, ci fece una copertura, li riempì di sedili, fece delle gran vetrate e bell’e fatto l’autobus. Pronti via si parte. Una gran bell’avventura, che ha accompagnato la storia della famiglia Lazzi per cento anni, da Vincenzo ad Angelo, Franco, Luciano, Ferruccio, Francesca e Alessandro, una storia che sarebbe durata ancora se non avessero inventato le regioni Fatto sta che è stata una grande famiglia quella dei Lazzi e Alessandro che è l’ultimo discendente.

"Ha presente Flixbus? – dice Alessandro – ecco quella è un’idea di mio padre Franco, fu lui a creare una rete di viaggi internazionali, dieci corse tutti i giorni che collegavano l’Italia alla Scandinavia spaziando in tutta Europa, ricordo di aver fatto anch’io il viaggio Roma Lione e si aver pagato la metà di un biglietto ferroviario in seconda classe. E sempre la mia famiglia fece una rete di collegamenti nazionali molto utile per gli spostamenti degli studenti dal sud al nord".

Poi vennero le regioni e la svolta di questa dinastia, che da impresa privata diventò una specie di società assistita sottoposta a prezzi politici, corse obbligatorie, insomma tutte quelle cose che hanno ingrassato i costi, gonfiato la burocrazia e rovinato l’Italia, ma questo è un altro discorso.