"Io, ristoratrice in sciopero della fame: se nessuno ascolta, andrò avanti fino alla fine"

La signora Dhemetra Di Bartolomeo, ristoratrice, ha due attività ad Arezzo e si è decisa a questo gesto estremo di protesta che porterà avanti a oltranza: “Non ho diritto a sostegni, ho due figlie da mantenere, affitti da pagare e spese fisse. Ma nessuno ci ascolta e ci aiuta. Basta elemosine, ci hanno tolto la dignità”

Dhemetra di Bartolomeo davanti al suo ristorante

Dhemetra di Bartolomeo davanti al suo ristorante

Arezzo, 3 aprile 2021 – “Sono al quarto giorno di sciopero della fame. Mi nutro solo di acqua, tisane, caffè, estratti di verdure. E sono decisa ad andare avanti, a oltranza, fino alla fine. Io sono per la non violenza, ma, a questo punto, non è possibile neanche più stare zitti”. La signora Dhemetra Di Bartolomeo, ristoratrice, si è decisa a questo gesto estremo per far sentire la propria voce prima che sia troppo tardi: per lei, per le sue attività che rischiano di chiudere per sempre. Per la sua famiglia e le sue due figlie che non riesce più mantenere. E per l’intera categoria di ristoratori, che insieme ad altri settori colpiti dalla crisi generata dalla pandemia, stanno pagando il prezzo economico più alto di questa pandemia.  

“Con aprile, in cui ci hanno detto che forse neanche riapriremo, se non alla fine, diventano sei i mesi in cui, tranne una decina di giorni, siamo stati chiusi. Le nostre attività non ce la fanno più. Io ho due ristoranti, ad Arezzo, e non ci toccano neanche i ristori. Abbiamo avuto qualcosa in passato, e possiamo ritenerci fortunati. Ma ora non ci spettano altri sostegni. La ragione? Perché “non abbiamo perso abbastanza’”. C’è un motivo: avevamo aperto il secondo ristorante, investendo peraltro tutto quello che avevamo, a fine 2018. Ed essendo il 2019 il primo anno di attività, gli incassi sono stati bassi. Sono entrati a regime nel 2020, tant’è vero che per quattro mesi abbiamo lavorato, ma poi ci hanno chiuso. In base a questa situazione, oggi non abbiamo diritto a nessun sostegno”.

Se da una parte nessun contributo arriverà, le bollette invece continuano ad arrivare puntualmente. “Abbiamo gli affitti da pagare e tantissime spese fisse – spiega la signora Dhemetra -. Per farvi fronte, cerchiamo di tenere aperto per il delivery, non abbiamo mai smesso, mai chiuso un solo giorno. Ma così non andiamo avanti lo stesso, perché al massimo riusciamo ad incassare 300 euro a settimana. In più, le varie piattaforme che si occupano della consegna, prendono il 35% più iva sullo scontrino, cioè sull’iva che noi praticamente già paghiamo. Dunque, su una vendita di 100 euro, a noi, per pagare le spese fisse, ci restano in cassa al massimo 18 euro”. Una situazione difficile, che ha spinto la signora Dhemetra, mamma di due figlie, alla scelta drammatica di protesta dello sciopero della fame. “Ci sentiamo presi in giro: c’è gente, nel settore della ristorazione, come in altre categorie tra cui i lavoratori dello spettacolo o delle palestre, che non prende lo stipendio da un anno. Ci hanno dato elemosine chiedendoci sacrifici enormi. Alcune categorie si sono sobbarcate tutto il peso di quest’emergenza, pagando un prezzo salatissimo, e questo non è affatto giusto”.

Nonostante Dhemetra sia in sciopero della fame da oramai quattro giorni: “Mi è giunta solo la solidarietà dei colleghi, ma dalle istituzioni non si è fatto vivo nessuno. Ma non mi fermo, io andrò avanti. Per me la dignità e il diritto per ciascuno di essere se stessi, di lavorare e di mantenere i propri figli sono fondamentali. Questo diritto ci è stato tolto, e allora cosa dovremmo fare: aspettare le loro elemosine? All’inizio avevo deciso di andare a Roma, di piazzarmi lì per protesta, a oltranza, davanti a Montecitorio. Con un cartello in cui dicevo: “Lasciate qui i vostri ristori che ho due figlie da mantenere”. Ma essendo in zona rossa, mi avrebbero caricato  sul primo treno e rimandato a casa. E allora mi sono decisa a questo gesto di protesta, anche perché per un ristoratore fare lo sciopero della fame è il colmo. Lo faccio  in difesa non solo della categoria dei ristoratori a cui appartengo, ma di tutte quelle categorie che stanno pagando un prezzo altissimo. E lo so bene, dal momento che lavoro anche come attrice e ho un diploma di fitness. Quanto alla ristorazione, ho la ‘Taverna dei briganti’ a Subbiano che attualmente è chiuso. È stato aperto soli tre giorni nel periodo di Natale, quando siamo stati in zona gialla. Ad Arezzo ho ‘Il covo dei briganti’, che è aperto con il delivery, asporto e consegne. I dipendenti? Noi ne avevamo più di 10. Ora alcuni sono in cassa integrazione, mentre gli altri, coi contratti a chiamata, ovviamente in questo momento sono fermi”. Capitolo affitti: “Per quanto riguarda il ristorante di Subbiano, i proprietari ci hanno fatto sconti e capiscono la situazione, non stanno prendendo soldi e non hanno detto niente. Ad Arezzo i proprietari pretendono l’affitto ma sono abbastanza flessibili: altri colleghi non hanno avuto questa fortuna”

La situazione è drammatica” spiega Dhemetra, che denuncia la situazione su internet dove è attiva attraverso i suoi canali social. “Ho creato un gruppo su Facebook, si chiama ‘Agnelli sacrificali indignati’ in cui aggiorno sul mio stato di sciopero della fame. Ha fatto anche dei filmati, in cui leggo i primi 4 articoli della Costituzione, per sottolineare quanto sia una presa di giro e un atto anticostituzionale quello di averci tolto la dignità di lavorare e mantenere la propria famiglia. Noi in queste attività abbiamo investito tutto: anni di lavoro, di fatica, di sudore. Rischiamo di chiudere per sempre: altri ristoratori hanno già chiuso, non ce l’hanno fatta.  Stanno giocando con la vita delle persone come se fosse nulla. Giocano col futuro di intere famiglie e sanno solo chiederci enormi sacrifici”.

All’iniziativa di protesta ‘Io apro’, la signora Dhemetra non ha aderito. “In un Paese dove ci sono tantissimi morti ogni giorno, non ci sembrava corretto. Così abbiamo organizzato ‘Io mi faccio sentire’, in cui per alcune ore abbiamo distribuito, fuori dal locale, insieme a del cibo alla gente che passava, il volantino in cui raccontavamo i disagi della nostra categoria. Ma le cose non sono cambiate. Ad esempio: sotto Natale, quando avevamo tutti i locali chiusi, ricordo bene di non essere potuta passare per il centro di Arezzo a portare fuori il cane perché c’erano assembramenti dappertutto, lunghe code di fronte ai negozi. Mesi dopo siamo a questo punto: nonostante le chiusure di palestre, ristornati e bar, la pandemia non è affatto finita. E allora, forse, hanno fatto le scelte sbagliate. Forse ere meglio fare tre o quattro turni, contingentare gli ingressi: ma sarebbe stato meglio che le persone restassero all’interno dei locali, consumando dentro piuttosto che, come invece accade ora, prendano qualcosa per poi andare a consumare fuori dove fanno assembramenti. Come se non bastasse, ed è notizia di queste ore: il nostro capo vigili urbani Poponcini ha deciso che metterà di fronte a tutti i ristoranti di Arezzo dei vigili a controllare la quantità di cibo da asporto che viene ordinato e consegnato, per evitare assembramenti nelle case. In pratica metteranno dei posti di blocco per fare in modo che la gente non ordini? È tutto così assurdo. E a pagare il prezzo più alto e a farne le spese, come al solito, siamo sempre noi”.

 

Maurizio Costanzo