Così Guelfi e Ghibellini combatterono la battaglia di Altopascio: meraviglie dagli scavi

Il progetto che vede l'università di Pisa fianco a fianco con un ateneo statunitense

La campagna di scavi archeologici di Badia Pozzeveri

La campagna di scavi archeologici di Badia Pozzeveri

Altopascio (Lucca), 5 settembre 2019 – Tutto quello che resta della battaglia di Altopascio del 1325 è una piccola spada costituita da un blocco unico di metallo, e una sorta di pugnale chiamato baselardo, caratteristica dell’armamento medievale del XIV secolo. Sono questi i ritrovamenti più importanti emersi dagli scavi di Badia Pozzeveri ad Altopascio, dove dal 2011 archeologi italiani e americani stanno riportando alla luce reperti che rivelano importanti informazioni sulla storia della popolazione toscana medievale.

Questa campagna estiva, diretta da Antonio Fornaciari della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, ha così fornito tracce concrete della storica battaglia, quando Castruccio Castracani, a capo dei lucchesi, sconfisse i guelfi gigliati che si erano accampati in zona. “L’oggetto è solo uno degli ultimi interessanti ritrovamenti dello scavo bioarcheologico di Badia Pozzeveri, che a distanza di nove anni dalla sua apertura continua a rivelare storie e notizie, grazie alle quali è possibile ricostruire gli avvenimenti storici a cavallo di più secoli e tracciare l’identikit sociale e culturale delle popolazioni che sono transitate da quelle zone” commenta Antonio Fornaciari.

I ritrovamenti  - Secondo i ricercatori, il baselardo ritrovato nelle scorse settimane potrebbe rappresentare proprio una delle tracce più tangibili della battaglia che vide protagonista la Badia di Pozzeveri, l’antico monastero costruito intorno al Mille vicino al centro di Altopascio, e tappa importante della via Francigena. Un monastero che dopo un periodo di grande sviluppo grazie ai frati camaldolesi, nel settembre del 1325 venne occupato dagli accampamenti dell’esercito guelfo fiorentino guidato da Raimondo di Cardona, e dove si svolsero le operazioni militari della celebre battaglia che vide il trionfo delle truppe lucchesi ghibelline.

Non solo: nella stessa area in cui è stata ritrovata l’arma sono emersi anche una fornace per la gettata di una campana e un piccolo laboratorio dedicato all’attività metallurgica. E ancora, i resti di ceramiche di importazione, provenienti dal nord Africa, testimoni di un’attività commerciale molto vivace e continuativa, che ancora una volta trovava il suo fulcro proprio nell’antica Abbazia, strategica per vitalità economica grazie al passaggio della Via Francigena e alla vicinanza con il lago di Bientina, naturale collegamento con il fiume Arno e quindi con Pisa e Firenze. Il tutto arricchito dagli ultimi rinvenimenti di antiche sepolture, che nei nove anni di scavo hanno delineato una stratificazione cimiteriale importantissima, capace di svelare usi, costumi, malattie e stato sociale dalla metà dell’800 e a ritroso fino a prima dell’anno Mille. 

L'area archeologica  - Il sito archeologico ha rivelato negli anni una storia molto complessa: alle tracce di un villaggio altomedievale si succedono nell’XI secolo i resti di un complesso religioso incentrato su una canonica che si trasforma agli inizi del 1100 in una grande abbazia camaldolese. Gli scavi nelle ultime due campagne si sono soffermati proprio sui livelli più antichi della canonica e dell’abbazia e in particolare sulle sepolture legate a queste due importanti istituzioni. Negli anni precedenti invece sono stati portati alla luce parti cospicue della chiesa di XI secolo che precedette il monastero, del chiostro dell’abbazia e di un grande ambiente adibito a foresteria. La frequentazione del sito continuò in età moderna, quando dopo la soppressione dell’abbazia la chiesa venne ridotta a un semplice edificio parrocchiale, a cui comunque si accompagnarono nei secoli notevoli fasi cimiteriali fino alla metà dell’800.

“Grazie alla continuità dell’uso cimiteriale dell’area circostante la chiesa di San Pietro - spiega il dottor Fornaciari , è stato possibile acquisire un campione scheletrico notevolissimo, che senza soluzione di continuità spazia dall’XI al XIX secolo, un caso più unico che raro a livello europeo. I reperti umani rinvenuti costituiscono infatti un vero e proprio archivio biologico che è possibile interrogare applicando i moderni metodi bioarcheologici e biomedici”. Il lavoro sul campo ha visto all’opera vari ricercatori provenienti dall’Università di Pisa: Francesco Coschino, responsabile dei rilievi e della documentazione informatizzata, Letizia Cavallini, Alan Farnocchia e Alessandro Cariboni, supervisors di area, Alessio Amaro, responsabile del laboratorio osteologico e Maurizio Sparavelli in qualità di tecnico restauratore; inoltre hanno collaborato ricercatori provenienti da istituzioni europee ed extraeuropee: Taylor Zanery (Università di Amsterdam) e Hanna Tramblay (Penn state University), research assistant per la documentazione e la logistica di scavo.

Il futuro del sito archeologico  - Attualmemte l’area archeologica è sede di due iniziative didattiche di grande prestigio: il master di primo livello in Antropologia scheletrica, forense e paleopatologia, promosso dalle Università di Bologna, Milano e Pisa, che prevede la permanenza sul sito di scavo per due settimane di quindici studenti italiani, e la Fieldschool Pozzeveri in Medieval Archaeology and Bioarchaeology, gestita dall’Università di Pisa e da Irlab, Institute for Research and Learning in Archaeology and Bioarchaeology di Columbus in Ohio, che richiama ogni anno una quarantina di studenti statunitensi, canadesi e di altri stati europei ed extraeuropei interessati ad apprendere le tecniche di scavo archeologico e di studio dei resti umani antichi.

Riguardo al futuro dell’area, l’amministrazione altopascese intende valorizzare quest’area archeologica in modo permanente: il 7 settembre si svolgerà l’inaugurazione della nuova Foresteria della Francigena, che sorge proprio a Badia Pozzeveri presso l’area degli scavi e diventerà, a tutti gli effetti, un luogo di aggregazione, di sosta e di promozione turistica, storica e culturale. Ma questo è solo l’inizio: si punta anche a creare un museo con i resti emersi in questi nove anni di scavi, per far conoscere l’importanza di questo sito, e poi riuscire a ottenere i fondi necessari per restaurare e riaprire l’antica Abbazia.