Giovane rider morto a Firenze, Confcommercio Toscana: 'Servono regole'

Cursano: "Anche il consumatore deve fare la sua parte per contrastare improvvisazione e scarsa tutela dei lavoratori"

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Firenze, 3 ottobre 2022 - “Oltre al dolore e allo sconcerto di assistere da membri di una comunità alla morte di un giovane uomo, come parti sociali ci interroghiamo su quanto occorra fare per tutelare i nostri lavoratori, perché se anche in tutto il Paese si arrivasse a contare una sola morte sul lavoro, sarebbe comunque troppo”. Così commenta Franco Marinoni, direttore di Confcommercio Toscana, la morte del giovane rider fiorentino.

“Tutti i lavori comportano dei rischi ed è per questo che bisogna investire nella prevenzione, spendendo per la sicurezza dei lavoratori le migliori competenze e risorse, lavorando seriamente e con continuità. Il protocollo d’intesa promosso dall’assessorato al lavoro del Comune di Firenze e sottoscritto lo scorso aprile anche da Confcommercio è stato un primo passo per mettere ordine nel settore a livello locale, in attesa di normative nazionali e comunitarie che riescano ad inquadrarlo. Quella del ‘rider’ difatti è una professione recente, che ha ancora tante sfaccettature da chiarire e sulla quale, e per la quale, da tempo assieme ai sindacati dei lavoratori stiamo lavorando per sottoscrivere un contratto che si collochi nel terziario e che fornisca quell’inquadramento di regole necessarie all’impresa per garantire il benessere del lavoratore, un suo giusto riconoscimento e, più che mai, la sua sicurezza. Perché se è vero che ogni professione comporta dei rischi, è altrettanto vero che è nei contratti collettivi che considerino basilare garantire la sicurezza sul lavoro, che si definiscono le regole che servono ad eliminare o ridurre al minimo gli infortuni, o peggio le morti. E quanto purtroppo è accaduto, ci conferma nella maniera più drammatica che questo lavoro intrapreso è ancora più urgente”.

  “Il delivery – sottolinea Aldo Cursano, presidente della Confcommercio e della Fipe toscana - è un fenomeno che stava crescendo negli ultimi anni ed è letteralmente esploso con la pandemia, stravolgendo equilibri economici e commerciali ormai consolidati. Ed è un fenomeno che noi abbiamo ‘accompagnato’ nella convinzione che ogni forma di somministrazione che possa andare incontro alle esigenze dei clienti vada incoraggiata, anche se comporta qualche volta uno stravolgimento delle regole del gioco”. “Da tempo, però – aggiunge - invochiamo una regolamentazione della loro attività che non può che essere disciplinata da un contratto collettivo nazionale di lavoro, al di là del quale c’è solo improvvisazione, scarsa tutela e, come purtroppo abbiamo dovuto constatare, rischi per la salute di chi lavora". 

"Per questo - prosegue - ogni componente del sistema deve farsi carico del problema e assumersi il suo pezzetto di responsabilità. Noi come operatori della somministrazione per primi, ma anche e soprattutto le strutture che gestiscono il delivery, che si prendono una bella fetta del business trattenendosi fino al 35 per cento di quanto corrisposto per ogni singola consegna. Anche il consumatore deve farsi carico in parte di questo servizio, perché è impensabile avere a domicilio lo stesso prodotto allo stesso costo rispetto al ristorante. Nel senso che bisogna accettare di sopportare un piccolo costo in più da destinare totalmente a chi effettua la consegna, in modo da rendere più remunerativa e meno frenetica quell’attività. È un’esigenza etica ed economica al tempo stesso”.