Amanti diabolici: l’Italia si divise sulla Circe della Versilia

Trent’anni fa il giallo. Protagonisti la bella 50enne e il giovane amante

Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti Lui vive nel Lazio

Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti Lui vive nel Lazio

Viareggio, 17 luglio 2019 - Un numero ossessionava Maria Luigia Redoli, la Circe della Versilia, ed era il 17. Come le coltellate mortali inferte a suo marito Luciano Iacopi la notte del 17 luglio 1989 nel garage della loro abitazione a Forte dei Marmi. Esattamente trent’anni fa. E per quell’omicidio venne condannata in appello all’ergastolo insieme al suo amante-complice-esecutore Carlo Cappelletti il 17 febbraio 1991. Il movente per l’accusa: fare la bella vita insieme con l’eredità.

A distanza di 30 anni rimane solo lui, l’ex carabiniere, a scontare la pena per quello che rappresentò uno dei gialli più avvincenti del dopoguerra. E’ in regime di semilibertà a Norma, in provincia di Latina, dove è nato e continua a professarsi innocente. Vittima, a suo dire, di un processo indiziario che divise in due l’Italia: assoluzione in primo grado, condanna in appello confermata a settembre ‘91 in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale, che aveva la fama di ammazza-sentenze. Ha continuato a dichiararsi estranea, fino all’ultimo, anche Maria Luigia Redoli morta a 80 anni a gennaio ad Arezzo. Era libera dopo 24 anni di carcere ma stava male con al suo fianco solo il figlio Diego.

Il tempo non ha cancellato gli interrogativi. C’era tutto in quella storia: sangue, soldi, tradimenti, magìa. Mancava però la prova schiacciante, oltre all’arma del delitto consumato con una ferocia inaudita. Secondo qualcuno anche la volontà da parte degli inquirenti di battere la pista dell’usura perché, a detta delle voci di paese, quei 7 miliardi di lire di patrimonio della vittima avevano un’origine chiacchierata. Chissà. Graziano Maffei, il famoso legale viareggino che difese a lungo la Redoli e Cappelletti, anche oggi non sa se i due amanti fossero colpevoli. Ha però altre certezze: «Sono sicuro che siano stati condannati senza prove. Con una sentenza che è un esempio di travisamento dei fatti, di illogicità, di contraddittorietà della motivazione. Il fatto che questa sentenza sia stata confermata dalla Cassazione non sposta di un millimetro il mio giudizio». Per Maffei ad orientare l’opinione pubblica fu soprattutto un aspetto.

«Era un’Italia nella quale l’immagine di una donna cinquantenne, bella che aveva una storia con un ragazzo di 23 anni veniva vista con qualche pregiudizio». Fatali per i due amanti le intercettazioni con i maghi assoldati dalla donna ‘per una fattura a morte’, la storia delle chiavi del garage che era chiuso dall’interno e i due mazzi li avevano la vittima e la moglie. C’era poi la ricostruzione del tragitto degli assassini che da Lido di Camaiore raggiunsero il luogo del delitto e poi la Bussola di Focette (dopo essersi lavati e cambiati e con in auto i due figli di lei) dove furono visti entrare al massimo alle 22.10. Il percorso venne ricostruito in una domenica sera di inizio autunno e non di piena estate quando il traffico è caotico. Un accertamento che non fugò le incertezze sui tempi necessari per far tutto questo, con il Cappelletti che aveva un braccio ingessato. Ma i giudici, invece, non ebbero dubbi.