Da Campi Bisenzio alla scoperta di Giove: nascono in Toscana gli 'occhi' della missione "Juice"

Nello stabilimento della Leonardo sono stati realizzati la camera ad alta risoluzione “Janus” e la testa ottica iperspettrale di "Majis"

Campi Bisenzio (Firenze), 10 marzo 2023 – Campi va alla scoperta di Giove. Nascono alla Leonardo di Campi gli occhi che andranno in cerca di possibili spie della vita sulle lune ghiacciate di Giove Ganimede, Europa e Callisto, che sotto la loro superficie ghiacciata nascondono oceani che potrebbero avere le condizioni per ospitare forme viventi. Parla italiano, infatti, la missione "Juice" dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), il cui lancio è previsto il 13 aprile dalla base europea di Kourou in Guyana Francese.

A presentare il rilevante contributo del nostro Paese alla missione Juice (Jupiter Icy Moons Explorerer) sono stati, oggi il 10 marzo, tutti i protagonisti italiani, durante un incontro dalla Leonardo, nel suo stabilimento di Campi, con Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e Agenzia Spaziale Europea (Esa), e con il contributo di Thales Alenia Space, Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e delle università di Trento e Sapienza di Roma.

“Viviamo un momento storico irripetibile nello spazio: negli ultimi 20 anni non si è mai vista una tale convergenza di interessi fra istituzioni, privati e difesa. Missioni come 'Juice' spingono lontano le frontiere della conoscenza umana, capaci di incoraggiare i giovani allo spazio e alle materie scientifiche”, sostiene Francesco Rizzi, responsabile del business Spazio e Optronica di Leonardo, mentre per Giulio Pinzan dell'Esa, che sarà uno dei controllori di volo della missione “una delle risposte che ci aspettiamo da questa missione è se sulle lune di Giove ci sono le condizioni perché possa esserci la vita”.

Ma perché è importante studiare Giove, pianeta anomalo che possiamo considerare una stella mancata? “Una conoscenza di Giove sempre più dettagliata ci permetterà di capire come il gigante del Sistema Solare è quello che noi vediamo come pianeta e che cosa abbia impedito un sistema evolutivo di tipo diverso” osserva Barbara Negri, responsabile del Volo umano e della Sperimentazione scientifica dell'Asi. I contributi di Leonardo Campi Se l’Italia ha realizzato quattro dei dieci strumenti, ben due di questi sono Made in Campi: “Janus” e “Majis”. Lo stabilimento – dove lavorano quasi mille dipendenti - è centro di eccellenza nel settore dello spazio, specializzato in progettazione e produzione di sistemi elettro-ottici, un campo che arriva dalla lunga tradizione fiorentina di Officine Galileo, Ote e Sma (aziende confluite in Leonardo).

La camera ad alta risoluzione “Janus”, finalizzata al monitoraggio dell’atmosfera di Giove e allo studio approfondito delle sue tre lune ghiacciate, “ha una risoluzione tale da riuscire a osservare una pallina da tennis da 1 km di distanza” spiega Enrico Suetta, responsabile ricerca e sviluppo spazio e optronica di Leonardo.

Elemento distintivo di “Janus”è la sua ruota con 13 filtri di colori diversi. “Ogni filtro permetterà all’occhio di ‘Janus’ di rilevare concentrazioni di elementi chimici diversi: per esempio il rosso potrà individuare il metano e il giallo vedrà il sodio” dice ancora Suetta ricordando per realizzare questi prototipi sono stati necessari quasi cinque anni di lavoro impiegando gruppi di 20-30 persone in ogni fase.

“Per mantenere le ottiche di 'Janus' immobili e quindi garantire la qualità delle immagini nonostante le sollecitazioni del lancio e gli sbalzi termici, il design meccanico e termico della camera è stato sviluppato per limitare le deformazioni con valori inferiori a un decimo dello spessore di un capello, rendendo Janus praticamente indeformabile” spiega Suetta.

Non è da meno – a prestazioni e tecnologia – “Majis”, di responsabilità francese ma realizzato con un accordo bilaterale tra Asi e Cnes. Leonardo ha realizzato la testa ottica iperspettrale per osservare e caratterizzare nubi, ghiaccio e minerali sulle superfici delle tre lune. Si tratta di una specie di laboratorio volante delle dimensioni di un comodino per analisi chimico-fisiche da qualche migliaio di km di distanza. “Costituito da due strumenti in uno che coprono complessivamente il range dal visibile al medio infrarosso, ‘Majis’ equivale ad avere 1.016 macchine fotografiche ognuna della quali cattura l’immagine in un singolo colore – aggiunge Suetta -. Combinando opportunamente queste immagini è possibile identificare i minerali che compongono la superficie dei corpi solidi e i gas presenti nelle loro atmosfere, misurandone anche la loro densità, la temperatura, i movimenti e così via”.

Per poter osservare nell’infrarosso, “Majis” è raffreddato fino a -180°C da una speciale coppia di radiatori che permette di “catturare” il freddo dello spazio profondo, senza alcun consumo energetico. Tuttavia, per ottenere questo risultato è stato necessario isolare termicamente lo strumento dal resto della sonda, molto più calda.

“Lo strumento è stato progettato otticamente come una specie di caleidoscopio, in cui la luce percorre un complicato percorso a zig-zag, composto da 28 lenti e specchi. Questa idea è nata dalla necessità di ridurre lo spazio fra l’entrata della luce e il piano focale, affinché si potessero raggiungere le elevate prestazioni richieste, ma con il ridotto volume stabilito dalla missione” dice Suetta.