Omicidio Benetti. "Sì, mia madre è stata assassinata. Ma per lo Stato è ancora scomparsa"

Grosseto, la Cassazione ha sancito che la donna è stata uccisa, ma la figlia dice: "Non c'è la dichiarazione di morte"

Francesca Benetti al centro del mistero di Villa Adua

Francesca Benetti al centro del mistero di Villa Adua

Grosseto, 23 ottobre 2018 -  E’ scomparsa da cinque anni. Di Francesca Benetti, 55 anni, insegnante di educazione fisica in pensione, non abbiamo più notizie dalla mattina del 4 novembre 2013. Svanita nel nulla poco dopo essere entrata a Villa Adua, la tenuta che possedeva a Gavorrano, in provincia di Grosseto.

E, dopo cinque anni, lei, bella signora bionda originaria di Cologno Monzese, all’anagrafe di Follonica dove viveva risulta ancora «scomparsa». Per la sua sparizione, però, è stato condannato all’ergastolo, con sentenza passata in giudicato ormai da molti mesi, il custode della tenuta, Antonino Bilella, 73 anni. L’agricoltore della provincia di Agrigento che aveva sperato di aver compiuto l’omicidio perfetto. Uccidendo la «bella signora» come la chiamava lui e di cui si era invaghito. E poi facendo sparire il cadavere e tutti gli effetti personali che lei quel lunedì di novembre aveva con sé. Tentando, infine, di demolire l’auto con cui Bilella, secondo la ricostruzione ormai assodata dell’omicidio, ha trasportato chissadove il cadavere della povera Francesca. Bilella condannato all’ergastolo in via definitiva per la morte di Francesca la quale, invece, per la burocrazia risulta essere ancora «scomparsa».

Missing per dirla all’americana. Qualcosa non torna. E allora i figli della donna, Eleonora e Giulio Spataro, devono chiedere la dichiarazione di morte presunta della madre. Il loro legale,  l’avvocato Alessandro Risaliti, a giorni presenterà tutta la pratica burocratica, con ovviamente allegate le sentenze dei tre Tribunali italiani che univocamente hanno riconosciuto in Bilella l’assassino di Francesca Benetti. L’agricoltore poco dopo averla incontrata a Villa Adua l’ha uccisa, nell’appartamento che la donna occupava saltuariamente. Forse perché respinto per l’ennesima volta, o forse perché lei lo voleva mandare via dalla tenuta. Poi ha caricato il corpo nel bagagliaio dell’auto che giorni dopo ha cercato di rottamare e l’ha abbandonato in un luogo mai scoperto. Ma quel corpo ha «parlato». Ha lasciato due macchie di sangue nel bagagliaio per «raccontare» di essere stato lì, come prova più importante del delitto. Quella che ha permesso agli inquirenti di scovare l’assassino di un cadavere che non si trova. Di una donna che nonostante la scoperta e la condanna del suo aguzzino risulta ancora «scomparsa».