L’allarme: 190 atleti morti come Astori

L’Università di Padova ha esaminato gli arresti cardiaci all’improvviso dal 1980

Davide Astori (foto Germogli)

Davide Astori (foto Germogli)

Padova, 23 gennaio 2019 - C’è un dato che fa suonare un campanello d’allarme nel mondo dello sport. Ben 190 giovani atleti in Italia, fra il 1980 e il 2015, sono morti a causa della cardiomiopatia aritmogena, la stessa patologia che ha colpito l’ex capitano della Fiorentina, Davide Astori. Su un totale di 700 atleti sotto i 40 anni, deceduti nello stesso periodo di tempo nel nostro Paese per morte cardiaca improvvisa, la cardiomiopatia aritmogena ha inciso al 27%. Percentuale altissima, se confrontata con chi soffre della stessa patologia ma non pratica sport a livello agonistico: sugli atleti incide 5 volte di più. Questi numeri emergono da una proiezione estrapolata dallo studio prospettico sulla morte improvvisa effettuato, a partire dagli anni Settanta, dall’Università di Padova in collaborazione con la Regione Veneto: ogni caso è stato studiato in sede di autopsia e sottoposto a un protocollo specifico. Interpretando gli elettrocardiogrammi effettuati in vita e confrontando le risultanze patologiche del cuore dopo la morte.    «È il primo studio sistematico che ha permesso di individuare una serie di patologie e dare avvio a ricerche che hanno permesso di scoprire nuove malattie, approfondire i meccanismi della morte improvvisa negli atleti, scrivere linee guida per lo screening dell’attività agonistica e aggiornare i protocolli medico sportivi», spiega il professor Domenico Corrado, ordinario di cardiologia, uno dei maggiori esperti al mondo sulle morti improvvise, responsabile del Centro regionale specializzato per le cardiopatie aritmiche eredo-familiari dell’azienda ospedaliero universitaria di Padova. È stato il professor Corrado, incaricato dalla procura di Firenze, a scrivere la consulenza tecnica sul decesso di Astori. 

Le numerose ricerche originali e gli studi pubblicati nel corso degli ultimi trent’anni sulle più accreditate riviste scientifiche del settore (dal New England Journal of Medicine a Jama, da Circulation al Journal of the American College of Cardiology) hanno dimostrato che lo screening (visita ed elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo), effettuato per ottenere l’idoneità all’attività agonistica, ha fatto crollare l’indice di mortalità per morte improvvisa cardiaca dell’86%. Ma le malattie cambiano, si modificano. E con loro si devono aggiornare regole, i comportamenti e i protocolli.

I medici devono essere capaci di cogliere anche i minimi segnali di malattia emergenti dai test. La cardiomiopatia aritmogena, per esempio, nel tempo è mutata: a fine anni Settanta è stato il professore emerito di anatomia patologica dell’Università di Padova, Gaetano Thiene, a riconoscerla come una delle principali cause di morte cardiaca improvvisa negli sportivi. Thiene ha condotto gli studi con il professor Corrado e ha effettuato la prima perizia sul decesso di Astori, incaricato dalla Procura di Udine. Per anni si è pensato che l’aritmogena colpisse solo il ventricolo destro, mentre ora sappiamo che, spesso, attacca anche o prevalentemente quello sinistro: in questi casi manifestando segni clinici ancora più sfumati e difficili da identificare. 

Per questo si stanno aggiornando le linee guida. Thiene si batte perché diventi legge l’obbligo di effettuare l’autopsia per le morti improvvise giovanili in tutto il Paese, obbligo che c’è già per la Sids (la morte in culla) «altrimenti non riusciremo mai a conoscere a livello nazionale la prevalenza delle varie patologie responsabili di morte improvvisa». Ma lo sport amplifica la malattia? «Non ci si ammala per sport – spiega il professor Corrado –. Ma lo sport nei soggetti geneticamente predisposti favorisce l’esordio della patologia e in quelli già ammalati ne accelera la progressione».