Vichi
Entrando in casa vide lampeggiare la sua vecchia segreteria telefonica, di cui non riusciva a liberarsi. Quella lucina intermittente gli aveva sempre dato la sensazione che la vita potesse cambiare da un momento all’altro, a partire da un messaggio. Appena richiuse la porta, Elena gli si attaccò al collo e lo baciò. Lui guardava con la coda dell’occhio il display, cinque messaggi. Aspettò che lei finisse di succhiargli le labbra, poi pigiò il tasto, e mentre il nastro volava indietro si tolse il cappotto e lo tirò sulla sedia. Elena si stava specchiando, rimettendosi a posto i capelli con le mani. Lui la guardò. Si conoscevano da appena un mese, erano innamorati, ma chissà come sarebbe andata a finire. Il primo messaggio era di Gianni: "Appena puoi telefonami", breve come sempre. Elena gli si appoggiò addosso e gli abbracciò la vita.
"Chi è questo Gianni?"
"Un amico... Aspetta, fammi sentire". Il secondo messaggio era vuoto, si sentiva un respiro e poi un leggero click. Il terzo era l’idraulico.
"Mi dispiace, domani non posso venire... Un contrattempo, mi scusi, buonasera". Voleva dire ancora un giorno con il cesso scaricato versandoci dentro un secchio d’acqua. Elena gli prese la faccia tra le mani e gli morse le labbra. Il quarto messaggio era un uomo.
"Ciao Giacomo, ti chiamo per dirti che sto bene. Ho avuto qualche grana all’inizio, ma ora è tutto a posto, scusa se non mi sono fatto vivo prima. Non preoccuparti per me, ho trovato una buona sistemazione, ora ti saluto, appena posso ti richiamo, ciao ranocchio... ciao..."
Il quinto messaggio era una donna, con la voce molto gentile.
"Signor Bottoni, la chiamo dallo studio dell’avvocato Brachetti. L’avvocato desidera vederla urgentemente per quella causa del condominio, richiami presto, buonasera". Elena prese Giacomo per le spalle e lo tirò a sé, per baciarlo ancora, ma lo sentì rigido.
"Ehi, che hai? Sei pallido come un morto".
Giacomo indietreggiò, e per non cadere si appoggiò al muro. Le ginocchia gli tremavano, aveva la bocca mezza aperta, ma non riusciva a parlare. Elena lo scosse, infastidita.
"Che ti succede? Non avrai paura di un condomino! Ehi, non farmi preoccupare... Che hai? Non sarai mica epilettico?" disse lei, con gli occhi spalancati. Giacomo respirava male.
"No, non è quello..."
"Quello cosa?"
"Non è quello... è l’altro..."
"L’altro? Ma di che parli?"
"L’altro... L’altro messaggio..."
"Non capisco..." disse lei, mordendosi le labbra. Giacomo aprì la bocca, pallido, ma non riusciva più a parlare. Lei cercò di ricordare i messaggi, per capire cosa ci fosse di così terribile. Giacomo faticava a deglutire.
"Era... era mio..." Strusciando con la schiena contro il muro si lasciò scivolare fino in terra.
"Era mio padre..." riuscì a dire, finalmente. Elena batté le mani, sorridendo di sollievo.
"E io chissà cosa credevo! Tuo padre... e allora? Non sarai mica di quelli che tremano di fronte al paparino, cazzo! Sei grandicello, no? Dai, calmati... Lo vuoi un tè?"
"No... Cioè... Come dici?" balbettò lui. Elena abbassò le braccia e sospirò.
"Allegria..." Andò in cucina a fare il tè, portò le tazze in camera da letto, e quando tornò da Giacomo vide che non si era mosso.
"Ma che fai ancora lì? Vieni, sennò si fredda". Lo tirò per una mano, e lui si lasciò guidare fino in
camera. Elena lo spinse sul letto, gli montò addosso e cercò di calmarlo con qualche coccola, ma non serviva a nulla. Allora si alzò e accese una sigaretta.
"Ehi, senti... Era tuo padre, e allora? Hai più di trent’anni... Lo so che certe faccende sono difficili da digerire, cosa credi? È successo anche a me... Però ci devi mettere un po’ di volontà... Sennò ci rimani invischiato per tutta la vita..." Aspirò forte e lo guardò aspettando una risposta, ma lui non diceva nulla.
"Ehi, dico a te..."
"Sì... sì... ma..."
"Ma cosa? Non fare il bambino!" disse lei, agitando in aria una mano, e senza aspettare continuò la sua galoppata.
"Innanzitutto basta con i MA... Se cominci così sei fregato. Basta con le giustificazioni... Quando sei un bambino va bene, tuo padre è come Dio... Ma adesso... Niente MA... Mio padre a volte ci prova ancora, cosa credi... Ma con me sbatte le corna contro il muro... Sì, certo, mille anni fa riusciva ancora a farmi del male, anche solo con un’occhiata... Ma adesso no! Se lo scorda! Insomma fregatene, te ne devi fregare... Capito?"
"Sì... Però..."
"Ecco, hai finito con i MA e cominci con i PERÒ... Dio mio, che razza di uomo sei? Guarda me... Adesso mio padre può dire quello che vuole, può urlare e battere i pugni... Pensi che me ne importi qualcosa? Eh?... Bevi il tè sennò si fredda... No, non me ne frega nulla di lui..."
"Non capisci..."
"Cos’è che non capisco? Non vorrai mica ritrovarti a ottant’anni che ancora tremi di fronte a tuo padre, no?"
"Elena..."
"Sì..."
"Elena, ascolta..."
"Devi liberarti di queste paure... Guarda che è più facile di quello che pensi..."
"Elena... mio padre... è morto dieci anni fa."