
L’abisso della parola, la lezione civile di Ivano Dionigi
C’era una volta un bambino che non aveva mai visto un albero. Che aveva forse tre anni, che era "un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz". Che si chiamava Hurbinek, scrive Primo Levi ne La tregua. Un bambino cui oggi viene restituita voce attraverso un’idea di costruzione di memoria e coscienza. Accade con la rassegna pistoiese Le parole di Hurbinek ideata dal professor Massimo Bucciantini per Uniser e sostenuta dalla Fondazione Caript, in una lunga cavalcata di appuntamenti – spettacoli, lezioni civili, incontri – che condurrà, fino a superarlo, al Giorno della Memoria. Perché è attorno a quell’ora buia della nostra storia che serve accendere la luce. Tutto parte e s’innesca da una parola: "ghetto". Le declinazioni e interpretazioni saranno molteplici, a partire da quella del pianista Fabrizio Paterlini che per Hurbinek ha scritto una musica originale (giovedì), per proseguire con la lezione civile di Valentina Pisanty e lo spettacolo di Enzo Moscato (26 gennaio), la lettura scenica inedita a due voci con Sonia Bergamasco e Elisabetta Rasy dedicata alla figura di Etty Hillesum (27 gennaio) e il concerto di una delle voci più interessanti della canzone urbana bosniaca, Damir Imamovic (28 gennaio, info sul programma su www.leparoledihurbinek.it).
Ad anticipare questi appuntamenti, la restituzione pubblica del progetto che ha coinvolto le scuole pistoiesi (oggi pomeriggio alla Biblioteca San Giorgio) e un doppio evento nella giornata di domani: lo storico Carlo Greppi incontrerà gli studenti per parlar loro di "muri", mentre il professore emerito Ivano Dionigi condurrà una lezione civile su L’abisso della parola (alle 17 a Palazzo de’ Rossi; ingresso libero). È con l’accademico e latinista già rettore dell’ateneo di Bologna che apriamo uno squarcio di luce sui temi dell’incontro.
"Usiamo parole che non comunicano più – esordisce Dionigi -, che non hanno funzione di condivisione. La parola di oggi è una parola che divide e lo testimonia bene il nuovo vocabolario costruito nei due anni di pandemia, pieno di parole-ghetto, parole diaboliche. Penso a ‘social’, parola il cui significato è diventato la sua stessa negazione: social oggi è il leone da tastiera che colpisce da solo. Lockdown, un confinamento che abbiamo introiettato fino a segnare una cesura psicologia nei giovani. Lo smartworking, da opportunità divenuto opportunismo, la ‘dad’, praticamente gas nervino per i nostri giovani. E il distanziamento sociale? Una contraddizione in termini. A queste parole ghettizzanti, aggiungiamo una ricca serie di parole mascherate, quelle alle quali facciamo ricorso pur di non nominare la realtà. Ci vergogniamo a dire che sfruttiamo le persone e parliamo allora di legge di mercato. Il vostro sarà un lavoro flessibile, diciamo ai giovani per non dir loro guarda che sarai disoccupato. Il lavoro nero è economia sommersa, la guerra è operazione militare speciale. Usiamo continuamente trucchi, false equivalenze, non verità e il peggio accade a livello istituzionale con la politica ridotta a un contratto, la pace divenuta sinonimo di condono fiscale, un decreto dignità che chiama in causa un qualcosa, la dignità appunto, che in realtà appartiene a tutti. Questo è lo stupro della parola".
linda meoni