LUCA SCARLINI
Cosa Fare

Così diventai una ninfa di primavera. Lo feci per Elisabeth Chaplin, ma posare nuda era una vergogna. Lei mi parlò del povero Robert

Marcella Olschki scrive sul nostro giornale un appasionato articolo datato 4 marzio 1982. L’imbarazzo della modella lascia il posto all’abbandono nel racconto di quel ragazzo morto di distrofia.

Com’era bello, quel giardino, così folto di fiori bianchissimi che neanche si riconoscevano le forme diverse delle foglie, in quella massa compatta di verde. Bianchissime, e di una tenerezza struggente, erano anche le piccole colombe con la coda a ventaglio che becchettavano e svolazzavano di qua e di là, sulle loro zampette rosse; mi venivano vicino, mi guardavano con gli occhietti tondi e poi si posavano sulle mani tese di Robert, povero ragazzo dallo sguardo intenso, in una poltrona di paralitico.

Eppure, ovunque, lì, la calma era perfetta e l’armonia era tale che doveva pur sottintendere che sotto a tutto questo ci dovesse essere una disperata volontà che tutto fosse così. Di Elizabeth Chaplin, scomparsa un mese fa, ricordo soprattutto gli occhi, i capelli e il profilo di cammeo.

(...)

In lei ogni gesto verso di lui era amore, dolcezza e terrore di perderlo; lo avviluppava in questa magìa di fiori e di voli proteggendolo dalla vita da cui lui sembrava poco a poco distaccarsi. Lì, quel giardino toccato da incantesimi a me sconosciuti perché totalmente privi di giovanili violenze, mi snervavo dolcemente fra quei sospiri e ne godevo in modo nuovo e sottile perché lì non c’erano le grida che cercavo. Robert, con la sua fronte ampia sugli occhi intensi, il suo non essere, non vivere eppur guardare e dipingere, mi risvegliava dal profondo istinti materni ancora sopiti.

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Poi, per più di un anno, non fui più accompagnata da Elizabeth Chaplin. Ci tornai con mia madre in un giorno in cui era scoppiata la primavera, anche in quel giardino; le foglie erano di un verde così intenso che volgevano al nero, e le colombe svolazzavano senza posa qua e là come se non avessero altra meta che il loro stesso fervore. Salimmo le scale per andare nello studio e lì, e soltanto allora, seppi che Robert era morto. Mia madre ed Elizabeth parlavano e io non le ascoltavo.

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Poi mia madre se ne andò ed io rimasi sola con Elizabeth. Sul cavalletto c’era una grande tela: da un lato, appena abbozzate, due figure di giovinette, da un altro uno spazio vuoto. Elizabeth prese la tavolozza e i pennelli e poi, come fosse la cosa più naturale del mondo, improvvisamente si voltò verso di me e mi disse: "Spogliati". Mi dovette ripetere più volte quel che voleva. Stavo lì davanti a lei atterrita da quella richiesta. Tutto si ribellava così viollentemente, dentro di me, che quasi mi sentii male. Tutto un modo di avermi educato, tutto quell’aver così profondamente, in me, costruito il pudore, che forse non è un istinto, ora mi pesava addosso con insopportabile angoscia.

(...)

Con gli occhi pieni di lacrime a poco a poco mi tolsi i vestiti, tremante mi sedetti e come un fantoccio senz’anima mi girai, mi distesi, alzai le braccia dietro la testa mentre per la mortificazione mi saliva dentro un odio primordiale e incontrollato verso mia madre e verso Elizabeth.

(...)

Soltanto allora, quando sentì che non le ero più nemica, prese a parlarmi di Robert. Mi disse che tutte le sere, da quando lui aveva lasciato questo mondo, lei conversava con lui, e me ne parlava come se fosse una cosa naturale,

quell’evocare la sua anima davanti a un tavolino e tre gambe. "Robert mi ha detto.. Robert dice...".

Quando il grande quadro era quasi compiuto, Elizabeth mi parlava soltanto di lui, e in quel raccontare pacato lui ritornava vivo e reale e lei ritrovava un equilibrio che era stato sconvolto dalla tragedia. "Robert mi ha detto che la guerra scoppierà il 10 giugno" mi disse una volta, e io non mi dimenticai quella data, ma in quel-

l’anno, il 1938, per l’Italia nessun evento si verificò, e neanche l’anno successivo. Me ne dimenticai; ma un giorno, mentre aspettavo la corriera in piazza Santa Maria Novella, la voce di Mussolini, ingigantita da decine di altoparlanti, ci annunciò che adesso sarebbe toccato a noi. Era il 10 giugno ed era la guerra: allora Robert lo sapeva.