Bini Smaghi, la verità sul Pecci: "Cinque anni per salvarlo"

Il presidente del museo chiede pazienza. Il caso finisce a Finanza e Corte dei Conti

Bini Smaghi, la verità sul Pecci: "Cinque anni per salvarlo"

Bini Smaghi, la verità sul Pecci: "Cinque anni per salvarlo"

Tre ore di audizione durante la commissione Controllo e garanzia del Comune di Prato. Lorenzo Bini Smaghi, presidente del cda del Museo Pecci, finito nella bufera dopo i due licenziamenti in tronco avvenuti a fine agosto, ha raccontato la sua verità davanti ai consiglieri che non gli hanno fatto sconti. Dalla Lega al Pd, la gestione del museo è stata duramente contestata così come la mancanza di trasparenza. Accuse rimandate al mittente da Bini Smaghi: "Il cda è un organo collegiale – ha detto – e tutto quello che avviene e viene comunicato al riguardo, passa sotto la supervisione di due consulenti in perfetta linea con quanto previsto dalla legge e nel rispetto dello statuto". Il riferimento è ai verbali del cda chiesti dal presidente della commissione Leonardo Soldi (Centrodestra) e consegnati solo in parte o oscurati. "È necessario tagliare i costi fissi e aumentare le entrate di privati, ma i finanziamenti pubblici a singhiozzo non invogliano l’entrata di investitori che hanno bisogno di certezze", ha aggiunto Bini Smaghi sui tagli effettuati dalla Regione a partire dal 2019. Il presidente incalzato dai consiglieri, ha poi precisato di aver taciuto i licenziamenti durante la precedente commissione di metà luglio "perché i primi a dover essere informati di tale volontà erano i dipendenti e non i commissari comunali". Sul rilancio poche idee tranne quella di tagliare i costi e aumentare i finanziatori. Per questo però servirà tempo. Quanto? "Almeno cinque anni", ha precisato Bini Smaghi.

E mentre il presidente della Fondazione predica pazienza il consigliere della Lega, Marco Curcio, ieri si è rivolto alla Corte dei Conti e alla Guardia di Finanza: "Ci sono accordi contrattuali disattesi, un’abbondanza di disinvoltura da parte di alcuni membri del cda, controlli poco approfonditi di Comune e Regione, scelte del presidente che vanno a ricadere negativamente sul bilancio", ha detto il consigliere leghista annunciando in commissione

di aver presentato due esposti. Al centro delle accuse di Curcio erano finite anche tre uova, pagate 60 euro dalla fondazione. Una polemica accesa, tanto che ieri sera al ristorante "Myo" del Centro Pecci, durante l’aperitivo per l’inaugurazione della mostra "Diego Marcon. Glassa" proprio le uova sono state al centro

del menù preparato dallo chef Angiolo Barni: "Le uova le ho regalate io perché sono stufo delle polemiche e delle critiche rivolte al mio locale".

Silvia Bini