
Marco
Vichi
Infilò le chiavi nella porta, alla fine di una giornata di lavoro, stanco quanto basta, ma soddisfatto. Gli piaceva il suo lavoro. Fare l’architetto no, non gli sarebbe piaciuto, e nemmeno fare l’astronauta o lo scrittore. Ma il suo lavoro invece gli piaceva. Tutto il giorno in mezzo ai registri, alle tabelle, immerso nel silenzio, in perfetta solitudine, un lavoro lento e tranquillo, di precisione, certo, ma c’entrava anche la passione, a differenza di quello che credevano tutti. Entrò in salotto, e trovò sua moglie che leggeva.
Le dette un bacio sul lato della bocca, e lei sorrise. "Hai passato una buona giornata?" "Sì, tesoro... E tu?" "Anche io, sì... Stasera abbiamo i Marchesini a cena, te lo ricordavi?" "Certo, amore." Lasciò la moglie sul divano, e passando nel corridoio annusò l’aria. Un arrosto, sì, doveva essere un arrosto, con patate e cipolle, una delle ricette che preferiva, sua moglie sapeva farlo a meraviglia, l’arrosto. E i Marchesini portavano sempre un ottimo vino, quasi sempre francese. Entrò nel suo studio e si sedette in poltrona. Gli piaceva aprire la posta la sera, prima di cena, ascoltando buona musica.
C’era una stazione che trasmetteva solo musica classica. Accese la radio, e riconobbe subito la prima sinfonia di Mahler. Peccato, stava già finendo. Guardò l’ora, le sette meno un quarto. Aveva ancora un po’ di tempo, prima di cena. Avrebbe letto la posta, poi sarebbe andato in bagno a fare una doccia calda. Cominciò ad aprire le buste, a smistare i vari documenti. Era molto preciso, protocollava tutto per categorie, obbedendo allo stesso metodo che seguiva nell’ufficio dove lavorava.
Tasse, bollette, banche, auguri, pubblicità, grane da sistemare... Ogni lettera aveva la sua specifica cartella. I francobolli li ritagliava e li metteva via, senza un vero motivo. Nell’ultima busta c’era la risposta di una libreria antiquaria. Gli dicevano che c’erano poche probabilità di trovare la prima edizione italiana di Robinson Crusoe di Domenico Occhi, del 1731.
Ne erano state stampate poche copie, e quasi la metà erano andate perse nell’incendio della tipogra?a. Peccato. Si ricordava ancora di quando suo padre gli leggeva le avventure di Robinson, tenendolo sulle ginocchia, e lui aveva fatto lo stesso con i suoi figli.
Adesso i figli erano grandi, sposati, lontani, con i loro figli. Peccato. Tagliò via il francobollo e mise la lettera nella cartella "Robinson". Intanto la sinfonia di Mahler era finita, e una voce di donna aveva già annunciato un altro brano, ma lui si era distratto a pensare a suo padre e non aveva sentito di cosa si trattasse.
Ogni tanto gli succedeva, di distrarsi. Quale musica sarebbe arrivata adesso? Tese l’orecchio per indovinare... All’inizio non capì cosa fosse quella vibrazione bassa che sembrava salire dal pavimento, arrotolandosi in grandi spire... Dieci, dodici battute, poi riconobbe la sinfonia... Restò un istante con il fiato sospeso, a bocca aperta, e un attimo dopo si mise a piangere. Non lasciò finire il brano.
Andò in camera a riempire una valigia. Uscendo sbirciò dentro e vide sua moglie che sonnecchiava davanti alla televisione. Scese in garage e salì in macchina. La sua macchina venne ritrovata il giorno dopo al parcheggio della stazione, con le chiavi infilate nel quadro. Di lui nessuna traccia, nemmeno un biglietto con qualche parola. Nulla. Sono già passati quasi trent’anni, e nessuno lo ha mai più visto.