Il nostro Paese sfilacciato e vulnerabile

L'editoriale della direttrice de La Nazione, Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 3 maggio 2020 -  Ci siamo: da domani si entra ufficialmente nella Fase 2, o nella Fase 1.5, come ha malignamente sottolineato qualche detrattore del Governo. Le premesse non sono tra le più edificanti, vista anche la settimana politica che ci lasciamo alle spalle. Cominciata con il tormentone sui «congiunti» innescato dal premier Conte, e finita con una mezza rissa nella maggioranza contro la ministra dell’Istruzione Azzolina, un vaticinio sui morti bergamaschi che «se potessero parlare ci direbbero di riaprire» (cit. Matteo Renzi), e un Salvini che minacciava di occupare il Parlamento salvo ripensarci una manciata di ore dopo. In tutto ciò il Paese si appresta a far fronte a una delle crisi più feroci dal secondo dopoguerra, con una pandemia ancora tutt’altro che conclusa e un clima generale di incertezza che finisce per alimentare esasperazione e rabbia, da sempre le più grandi nemiche delle rinascite, soprattutto economiche.

In questo senso la strategia comunicativa del presidente del consiglio – che domenica scorsa ha affidato il suo messaggio sulla ripartenza all’ormai classica conferenza stampa in solitaria – è stata il primo vero errore in questi mesi di tragedia sanitaria senza precedenti. Gli effetti si sono visti fin dal giorno dopo, quando – finiti da un pezzo i cori sui balconi – a protestare hanno iniziato davvero tutti. Prima i commercianti esclusi dalla ripartenza (e che domani in Toscana apriranno simbolicamente), poi i ristoratori (che in tutta Italia hanno consegnato le chiavi delle loro attività ai sindaci), quindi è stata la volta dei genitori richiamati in fabbrica o in ufficio senza risposte sul dove come e a chi lasciare i propri figli, poi ancora si sono lamentati i presidi con una scuola messa all’ultimo posto delle priorità del Governo. Stavolta non ha fatto eccezione neppure la Chiesa, tra vescovi e parroci indignati al grido: avete riaperto le sale slot ma non le parrocchie. Insomma: un mezzo disastro.

In questa rabbia, il dato più preoccupante è che i cittadini, molti cittadini, mostrano di non fidarsi più: dei sindacati, delle associazioni di categoria, di quegli organismi che in una democrazia sana consentono di mediare tra popolo e istituzioni. Il rischio di sfilacciare il tessuto economico e sociale è altissimo, e le conseguenze si possono già vedere tra le pieghe meno visibili di un Paese che non è mai stato tanto vulnerabile ed esposto quanto adesso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA