Arezzo, conti choc ma nessuna istanza di fallimento: esercizio provvisorio difficile

La situazione della società resta drammatica: un «buco» superiore ai due milioni, un deficit dell’ultimo bilancio di 1,8 milioni. Ogni ritardo nei libri è bancarotta se aggrava l’insolvenza

Tanti soldi per salvare il pallone

Tanti soldi per salvare il pallone

Arezzo, 21 febbraio 2018 - Se Fabio Gatto, rappresentante della Neos che è tornata proprietaria dei resti dell’Arezzo, non ha una sorpresa nell’Uovo quasi di Pasqua, in questo mercoledì di passione la situazione resta quella che era già: prefallimentare. Un «buco» astronomico, superiore ai due milioni, un deficit dell’ultimo bilancio di 1,8 milioni, stipendi non pagati per 300 mila euro solo coi giocatori, la prospettiva di dover onorare, non si sa con quali soldi, le rate degli ingaggi che verranno da qui a giugno, una miriade di creditori che non vedono un centesimo da mesi, a cominciare dai dipendenti amministrativi.

Nessuno però ha presentato per adesso un’istanza di fallimento, nè gli amministratori, anzi l’amministratore unico, Marco Matteoni, presidente da solo in mancanza di un Cda, direttore generale e direttore sportivo di fatto, hanno portato finora i libri sociali in tribunale: lo confermano nel pomeriggio autorevolissime fonti giudiziarie. Chi governa l’Arezzo, in queste condizioni, sta giocando col fuoco.

La legge fallimentare è chiara: ogni ritardo nella presentazione dei libri davanti al giudice si trasforma in reato quando comporta un aggravamento dello stato di insolvenza. Ed è chiaro che qui siamo in una fattispecie del genere: via via che si accumulano gli stipendi non pagati e gli altri debiti, la situazione finanziaria peggiora. Il rischio è quello che la procura apra un’indagine per bancarotta semplice, fraudolenta se ci fossero state distrazioni del capitale sociale.

Questo però è uno scenario a venire. Nell’immediato, in mancanza di qualsiasi richiesta in tal senso, non può essere avviata alcuna procedura fallimentare. La società Us Arezzo resta nel limbo: di fatto è decotta, di diritto ancora no. L’effetto è che nessun imprenditore serio se la sente di prendere in mano una patata così bollente. Mantenere la società «in bonis», come si dice in gergo giuridico, evitare cioè il passaggio in tribunale, significa tirar fuori almeno tre milioni, per coprire i debiti e anche per proseguire la gestione ordinaria fino a giugno.

Se al contrario arrivasse un’istanza di fallimento o di autofallimento (presentata coè dagli amministratori, magari sollecitati dai revisori dei conti), il tribunale dovrebbe avviare l’iter e poi, con sentenza collegiale, pronunciata cioè da tre giudici, dichiarare il fallimento, nominando un curatore. Anche nel caso la procedura venisse avviata domani (ed è pura teoria) ci vorrebbe probabilmente qualche settimana.

Solo a quel punto il giudice delegato al fallimento potrebbe decidere su un eventuale esercizio provvisorio che consenta la prosecuzione dell’attività sportiva fino al termine del campionato, sempre ammesso che i giocatori non abbiano nel frattempo ottenuto lo svincolo. Ancora fonti giudiziarie dicono chiaro e tondo che se la situazione debitoria è quella raccontata dai giornali, l’esercizio provvisorio sarà tutt’altro che automatico.

Toccherà poi al curatore realizzare quanto possibile per soddisfare i creditori, a cominciare da quelli privilegiati che sono i dipendenti, calciatori e non. Asset da vendere paiono essercene pochi: i giocatori sono quasi tutti in scadenza di contratto. A giugno saranno liberi e non potranno essere venduti per realizzare. Un nuovo fallimento rischierebbe di essere un bagno di sangue per i creditori.